Approfondimento di Mario Petrulli

Demolizione e ricostruzione di un edificio: le diverse possibilità attuative ed i differenti titoli edilizi necessari

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di Petrulli Mario
12 Marzo 2020

Approfondimento di Mario Petrulli                                                                                                     

DEMOLIZIONE E RICOSTRUZIONE DI UN EDIFICIO: LE DIVERSE POSSIBILITÀ ATTUATIVE ED I DIFFERENTI TITOLI EDILIZI NECESSARI

Mario Petrulli

 

Come è noto, la demo-ricostruzione di un edificio è una classica ipotesi di ristrutturazione edilizia, espressamente prevista dall’art. 3 comma 1 lett. d) del Testo Unico Edilizia[1], secondo cui rientrano in detta categoria anche gli interventi “consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”. In tale ipotesi, conseguentemente, il titolo edilizio necessario è la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), secondo quanto previsto dall’art. 22 comma 1 lett. c) del citato Testo Unico.

Tuttavia, non è infrequente che il proprietario dell’immobile non si limiti a demolire e ricostruire con la medesima volumetria ma la aumento, ponendo in essere un intervento di più ampia portata: ebbene, in tal caso, non si è dinanzi ad una mera ipotesi di ristrutturazione edilizia ma ad una vera e propria nuova costruzione che, conseguentemente, richiede il permesso di costruire, ex art. 10 comma 1 lett. c)[2] del Testo Unico (o la SCIA alternativa al permesso di costruire, ex art. 23 comma 01 lett. a)[3]).

Su tale aspetto, la giurisprudenza del passato (allorquando la norma richiedeva non solo il rispetto della volumetria ma anche della sagoma e del sedime nel caso delle demo-ricostruzioni) aveva affermato che “Quando la demolizione e la successiva ricostruzione di un manufatto non danno luogo alla fedele riedificazione del precedente manufatto per sagoma, superficie e volume, non si è in presenza di ristrutturazione edilizia, bensì di nuova costruzione, per cui è necessario il rilascio di apposito titolo edilizio[4]. La tesi deve ritenersi valida ancora oggi con riferimento al superstite riferimento della volumetria[5]; del resto la nozione stessa di ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non può fare a meno di una certa continuità con l’edificato pregresso[6] e l’aumento della volumetria deve ritenersi ostativo. Di conseguenza, un intervento di tale natura effettuato senza il preventivo rilascio del permesso di costruire sarà sanzionato con l’ordine di demolizione.

Può accadere, invece, che il proprietario ricostruisca con una volumetria inferiore: in tal caso, a nostro avviso, l’ipotesi ricade nella ristrutturazione edilizia e, conseguentemente, sarà sufficiente la SCIA, in applicazione del famoso brocardo latino plus semper in se continet quod est minus.

Ancora, può accadere che l’immobile oggetto della demo-ricostruzione sia situato nel centro storico e le NTA e lo strumento urbanistico vigente consentono esclusivamente opere di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo ma non anche la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione. Il dubbio, in tali casi, è il seguente: è legittimo che l’ufficio tecnico comunale neghi la richiesta ristrutturazione edilizia o è da disapplicare la norma locale che non la prevede?

La risposta è stata fornita dalla giurisprudenza, nella sent. 5 aprile 2019, n. 512, del TAR Puglia, Bari, sez. III[7], applicando il principio della gerarchia delle fonti normative: è stato, infatti, affermato che non è legittimo “negare il permesso di costruire richiesto per porre in essere un intervento di ristrutturazione edilizia consistente in demolizione e ricostruzione di un fabbricato posto in zona del territorio comunale qualificata alla stregua di contesto urbano di interesse storico, sulla sola base del riferimento ad una normativa tecnica di attuazione del PUG certamente cedevole rispetto alla legislazione statale primaria che disciplina la ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione di un fabbricato pericolante[8]. In sintesi, perciò, non è possibile il diniego dell’intervento in una tale ipotesi motivato sulla non previsione del medesimo dalle norme regolamentari comunali.

8 marzo 2020

 

[1] DPR n. 380/2001.

[2] Secondo cui:

Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:

[omissis]

c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.

[3] Secondo cui:

In alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante segnalazione certificata di inizio di attività:
a) gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c)
”.

[4] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 24 dicembre 2008, n. 6550.

[5] Unico parametro oggi da rispettare, nel nuovo testo della norma: cfr. TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, sent. 23 luglio 2018, n. 252, secondo cui “Con particolare riferimento alla ristrutturazione edilizia cd. ricostruttiva, l’unico limite ora previsto è quello della identità di volumetria, rispetto al manufatto demolito, salve le “innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”, e ad eccezione degli immobili sottoposti a vincolo ex d. lgs. n. 42/2004, per i quali è altresì prescritto il rispetto della medesima sagoma di quello preesistente”.

[6] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 6 marzo 2020, n. 1641; sez. II, sent. 20 maggio 2019, n. 3208, secondo cui “Un intervento di demolizione e successiva ricostruzione può essere qualificato come di ristrutturazione edilizia solo laddove vi sia una certa continuità tra la nuova opera e quella precedente alla demolizione”.

[7] Nel caso specifico era accaduto che il Comune, dinanzi ad un edificio pericolante situato nel centro storico e per la cui messa in sicurezza il professionista tecnico di fiducia dei proprietari aveva indicato, quale unico strumento concretamente percorribile, la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, aveva negato il permesso di costruire richiesto, in quanto le NTA consentivano, nel centro storico, solo interventi di manutenzione straordinaria e di restauro e risanamento conservativo, riservando la ricostruzione solo nel caso di edifici crollati o resi inagibili da eventi calamitosi, accidentali o comunque derivanti da cause di forza maggiore.

[8] I giudici hanno anche accolto la valutazione del professionista di fiducia dei proprietari che accertava l’impossibilità del ripristino funzionale del fabbricato per le relative condizioni di grave dissesto e fessurazione, indicando la demolizione quale unico intervento tecnico concretamente praticabile per assicurare la pubblica e privata incolumità.

Secondo la sentenza segnalata, in una situazione di questo tipo, le conclusioni cui è pervenuta l’amministrazione civica per negare il permesso di demolire e ricostruire appaiono esorbitanti e, dunque, “inficiate da eccesso di potere sia per travisamento dei fatti; sia per violazione delle stesse norme che disciplinano la ricostruzione di un fabbricato tramite demolizione, malgovernate dal civico ente nella loro valenza di norme statali primarie di cui al dpr. 380/2001”.

Sotto questo profilo, è stato osservato “che l’evocata normativa tecnica di attuazione e, in sostanza, la ritenuta prevalenza da accordare alla tutela del contesto urbano di interesse storico non può intendersi in senso assoluto anche quando l’immobile di cui si discute non può più essere oggetto di intervento chirurgico di risanamento conservativo, ma esige un intervento demolitivo e di successiva ricostruzione in vista della preminente tutela della pubblica e privata incolumità”.

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