Approfondimento di Amedeo Di Cosimo Damiano Zacà

Embrioni congelati 4 anni fa: tribunale di Lecce autorizza l'impianto

Servizi Comunali Filiazione Formazione/ correzione atti
di Zacà Cosimo Damiano
10 Luglio 2019

Approfondimento di Amedeo Di Cosimo Damiano Zacà                                                                      

Embrioni congelati 4 anni fa: tribunale di Lecce autorizza l'impianto

La sentenza della Cassazione sul cognome del figlio nato da fecondazione post mortem

 

Cosimo Damiano Zacà

 

Premessa

La decisione del Tribunale di Lecce di dare via libera all'impianto di embrioni congelati 4 anni fa, nonostante il marito della donna che li riceverà sia deceduto nel corso di quest’anno, è sicuramente una notizia che aprirà un interessante dibattito sulla tutela del diritto della donna ad accedere alla tecnica di P.M.A.

Si tratta, a dire il vero, del terzo caso di fecondazione post mortem in Italia, dopo quello di Palermo del 1999 e di Bologna del 2010.

In particolare la questione riguarda un padre morto di cancro ed un figlio che nascerà nel 2020 per volontà della coppia che aveva avviato la procedura per la procreazione medicalmente assistita nel 2015: prima, dunque, della diagnosi del tumore che ha portato l'uomo alla morte e dopo che (nel 2014) il tentativo di una seconda gravidanza dei coniugi quarantenni non era andato a buon fine.

La coppia come si legge su “Nuovo Quotidiano di Puglia” aveva già un altro figlio.

A seguito di questo tentativo infruttuoso i coniugi avevano iniziato un ciclo di cure decidendo, nel 2015, di affidarsi ad un centro per la procreazione medicalmente assistita, dove furono crioconservati due embrioni fecondati con il liquido seminale del marito.

Dopo la morte del marito la donna ha cominciato a battersi per mantenere fede a quanto era stato concordato a suo tempo con il coniuge.

Così si è rivolta alla clinica dove ha dovuto, però, scontrarsi contro i rigidi e complessi adempimenti burocratici: pur avendo firmato, infatti, tutti i consensi possibili prima di morire, il centro P.M.A. non poteva procedere all'impianto senza l’autorizzazione di un Tribunale.

In Italia, infattti, la legge n. 40/2004 vieta la tecnica di riproduzione assistita, utilizzando il seme crioconservato del padre, anche se prima di morire questi ha dato il proprio consenso unitamente alla moglie.

Da qui la battaglia legale.

 

La decisione del Tribunale

Dopo due mesi di udienze è arrivato il responso positivo del giudice.

Tre, da quello che si legge, sono i punti che hanno portato al buon esito del ricorso: “il diritto dell’embrione alla vita”, “l’impossibilità del partner di revocare il proprio consenso” ed “il diritto della donna a ottenere, sempre, il trasferimento degli embrioni crioconservati”.

Il bambino nascerà nel 2020 e sarà a tutti gli effetti figlio legittimo degli ex coniugi.

 

 

 

 

 

La sentenza della Corte Suprema di Cassazione- L’attribuzione del cognome paterno.

Questa decisione del Tribunale di Lecce sotto certi aspetti, si intreccia con un’importante sentenza della Corte Suprema di Cassazione di qualche giorno fa, la n. 13.000 del 15 maggio 2019, che afferma, in un principio di diritto, che sono, appunto, legittimi i figli nati con la tecnica della procreazione medicalmente assistita anche quando la fecondazione è avvenuta "post mortem".

L'atto di nascita, precisa la Corte, deve riconoscere la paternità e ai bambini va attribuito il cognome paterno.

La Corte Suprema ha deciso in favore di una donna che era in causa con il proprio Comune di residenza, il cui l’Ufficiale di Stato Civile si è rifiutato di registrare la paternità e, conseguentemente, di attribuire il cognome del padre alla sua bambina, nata dopo la morte del marito.

Risolvendo un “dilemma” giuridico ha rinviato a un nuovo appello, stabilendo però già, nella citata sentenza della prima sezione civile, "di rettificare un atto non compilato correttamente".

 

Il fatto

La donna si era sottoposta alla fecondazione in un Paese straniero, dove è consentita anche post mortem, potendo contare sul consenso del marito.

Alla nascita della bambina, ha chiesto che fosse registrata la paternità nell'atto di nascita, ottenendo però un rifiuto dall’Ufficiale di Stato Civile, il quale legittimamente aveva applicato quanto disposto dagli artt. 231-232 del codice civile, che escludono l’operatività della presunzione di concepimento oltre trecento giorni dalla cessazione del vincolo matrimoniale, come nella situazione in trattazione.

Il tribunale avallò la decisione dell'ufficiale di Stato civile e così anche la Corte d'appello. Ma per la Cassazione, quando il padre ha prestato il consenso, sapendo di dover morire, il bambino “è da considerarsi figlio nato nel matrimonio”, “dovendosi individuare” nel momento del consenso, “la consapevole scelta alla genitorialità”.

Per la Cassazione, quindi, quando il padre presta il consenso, sapendo di dover morire, il bambino è «da considerarsi figlio nato nel matrimonio».

L’impostazione della Corte “parte” da una propria importante sentenza, la n. 19599 del 30 settembre 2016 e trova conferma sia nella giurisprudenza della Corte EDU (sentenze c.d. “gemelle”Menesson c. Francia del 26 giugno 2014, ric n. 6519/11 e Labassee c. Francia del 26 giugno 2014, ric. n. 65941/11), sia in quella della Corte Costituzionale, che a partire dalla pronuncia n. 347 del 1998 ha sottolineato l’esigenza di distinguere tra la disciplina di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e la preminente tutela giuridica del nato.

In sede di rinvio, dunque, la Corte d'appello, in diversa composizione, come si legge nella sentenza, dovrà adeguarsi ai seguenti principi di diritto, che si riportano, per capire meglio la portata di questa importante decisione, integralmente:

a) «Le dichiarazioni rese all'ufficiale dello stato civile, se dirette, esclusivamente, a dare pubblica notizia di eventi, quali la nascita o la morte, rilevanti per l'ordinamento dello Stato civile per il solo fatto di essersi verificati, impongono al menzionato ufficiale di ricevere e formarne nei suoi registri processo verbale per atto pubblico, senza che gli spetti di stabilire la compatibilità, o meno, di detti eventi con l'ordinamento italiano e se, per questo, abbiano rilevanza e siano produttivi di diritti doveri.

Diversamente, qualora, tali dichiarazioni siano, di per se stesse, produttive di effetti giuridici riguardo allo status della persona cui si riferiscono, l'ufficiale dovrà rifiutare di riceverle ove le ritenga in contrasto con l'ordinamento e con l'ordine pubblico»;
b) «Il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile, disciplinato
dall'art. 96 del Dpr 3 novembre 2000, n. 396, è ammissibile ogni qualvolta sia diretto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, quale è o dovrebbe essere nella realtà secondo le previsioni di legge, e come risulta dall'atto dello stato civile per un vizio, comunque o da chiunque originato, nel procedimento di formazione di esso. In tale procedimento, l'autorità giudiziaria dispone di una cognizione piena sull'accertamento della corrispondenza di quanto richiesto dal genitore in relazione alla completezza dell'atto di nascita del figlio con la realtà generativa e di discendenza genetica e biologica di quest'ultimo, potendo, cosi, a tale limitato fine, avvalersi di tutte le risorse istruttorie fornite e dalla parte»;

c) «L'art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante lo status giuridico del nato a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, è riferibile anche all'ipotesi di fecondazione omologa post mortem avvenuta mediante utilizzo del seme crioconservato di colui che, dopo avere prestato, congiuntamente alla moglie o alla convivente, il consenso all'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ai sensi dell'art. 6 della medesima legge, e senza che ne risulti a sua successiva revoca, sia poi deceduto prima della formazione dell'embrione avendo altresì autorizzato, per dopo la propria morte, la moglie o la convivente all'utilizzo suddetto. Ciò pure quando la nascita avvenga otre i trecento giorni dalla morte del padre».

 

Conclusioni

La Corte Suprema, quindi, affrontando il tema della fecondazione omologa post-mortem, ha riconosciuto che doveva essere rettificato l’atto di stato civile del bambino, in cui era indicato il solo cognome della madre: era, infatti, da considerare illegittimo il rifiuto dell’Ufficiale di stato civile alla registrazione del cognome paterno nella formazione dell’atto di nascita del minore.

Qual è l’indicazione che ne deriva per l’Ufficiale di Stato Civile da questa sentenza?

Come si deve comportare di fronte a casi come questi (si pensi anche al caso Lecce di cui in premessa)?

Deve reiterare il suo “comportamento”?

A parere di chi scrive, l’U.S.C. non può non tenere conto delle decisioni degli ermellini (si veda quanto riportato alla lett. c relativo ai principi cui deve adeguarsi la Corte d’Appello e non solo ) e dopo aver valutato l’esistenza dei requisiti previsti dalle norme vigenti, in particolar modo della legge n. 40/2004, deve formare l’atto di nascita su dichiarazione della madre con l’indicazione delle generalità di entrambi i genitori, attribuendo il cognome paterno, alla stessa stregua del figlio nato in costanza di matrimonio.

4 luglio 2019

Indietro

Non hai trovato le informazioni che stavi cercando?

Poni un quesito ai nostri esperti

CHI SIAMO

La posta del Sindaco è rivolto ad amministratori ed operatori degli enti locali: ricco di contenuti sempre aggiornati, il cuore del portale risiede nella possibilità di accedere, in modo semplice e veloce, ad approfondimenti, informazioni, adempimenti, modelli e risposte operative per una gestione efficiente e puntuale dell'attività amministrativa.

La Posta del Sindaco - ISSN 2704-744X

HALLEY notiziario

INFORMAZIONI

Ricevi via email i nuovi contenuti pubblicati nel portale

In collaborazione con:

la posta del sindaco

CONTATTI

Email

halley@halley.it

Telefono

+39 0737.781211

×