La Rivista del Sindaco


L’applicazione della TARI alle superfici industriali e artigianali

15/09/2022 Approfondimenti
Presupposti e disciplina: i riferimenti normativi e giurisprudenziali

Il pregresso e le prime pronunce
La questione della tassazione dei locali destinati alle attività industriali ed artigianali, e delle aree ad esse funzionali, è sempre stata di primario interesse. La sua soluzione, in un senso o nell’altro, si rivela foriera di importanti conseguenze in termini economici, quanto ad entrate, per i Comuni, o ad incidenza sui costi di produzione, per le imprese. Materia discussa già all’epoca della TARSU, la questione è diventata oggetto di una copiosa, e non sempre univoca, giurisprudenza da parte della Corte di cassazione.
Tra le prime pronunce, merita di essere ricordata la sentenza n. 9631 del 13 giugno 2012, in cui è stato affermato il principio per cui
"è onere del contribuente provare, ai fini dell'esclusione dalla superficie tassabile di quella destinata a lavorazioni industriali, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3
, che nelle aree adibite a tali produzioni si formino rifiuti speciali, e che allo smaltimento di tali rifiuti provveda lo stesso produttore, a sue spese".
Per quanto attiene ai magazzini, invece, con la sentenza n. 23390 del 4 novembre 2009, la Corte ha affermato che "non sono esclusi i locali e le aree destinati all’immagazzinamento o alla cessione dei prodotti finiti, i quali rientrano nella previsione di generale tassabilità a qualunque uso siano adibiti, posta dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 1, prima parte […]. Infatti il collegamento funzionale con l’area produttiva, destinata alla lavorazione industriale, delle aree destinate all’immagazzinamento dei prodotti finiti, come di tutte le altre aree di uno stabilimento industriale, tra cui quelle adibite a parcheggio, a mensa e ad uffici, non assume rilievo, atteso che tale collegamento funzionale fra aree non è stato previsto come causa di esclusione dalla tassazione neanche dalla legislazione precedente l’entrata in vigore del d.lgs. n. 507 del 1993 (vedi anche le sentenze n. 19461/2003, n. 12749/2002)”.

I rifiuti speciali e l’assimilazione ai rifiuti urbani: la discrezionalità dell’Ente
Per quanto concerne, invece, la problematica dell’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, da parte dei Comuni, merita di essere citata la sentenza della Corte di cassazione n. 30719 del 30 dicembre 2011, in cui è stato affermato che “in tema di tassa per lo smaltimento di rifiuti urbani, la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, previsto dall'art. 21, comma 2, d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, presuppone necessariamente la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti speciali poiché l'impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità (Cass. 12752/2002). Per escludere ogni ipotesi di danno correlato al rifiuto assimilato senza predeterminarne la quantità conferibile dovrebbe apprestarsene un servizio di smaltimento di potenzialità illimitata, certo non rispondente ai principi di efficienza, efficace ed economicità che pure costituiscono condizioni di legittimità dell'esercizio della potestà di assimilazione attribuita dalla norma di legge.”.
Con l’entrata in vigore della TARI, la questione è rimasta attuale e con essa i dubbi sulla sua soluzione. Le perplessità derivavano dal tenore letterale delle disposizioni normative. Infatti, l’art. 1, comma 649, della legge n. 147/2013 se al primo periodo stabilisce che "nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via esclusiva e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”, al terzo periodo, tuttavia, prevede che il Comune, con regolamento, “individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione”.
Il dubbio ingenerato era evidentemente quello se l’esenzione fosse o meno subordinata ad una espressa previsione nel regolamento comunale, rimessa alla insindacabile discrezionalità del singolo Ente.
Le interpretazioni sono state le più varie finché è prevalso l’indirizzo per cui la previsione del primo periodo dovesse essere intesa come finalizzata a dettare un principio normativo di carattere generale, rispetto a quanto stabilito dal terzo periodo. Pertanto, il verificarsi della condizione della produzione in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali doveva essere considerata condizione necessaria e sufficiente per l’esclusione dalla TARI delle superfici produttive di tali rifiuti. Il potere previsto, dal terzo periodo, in capo ai Comuni doveva pertanto considerarsi estremamente circoscritto, atteso che le superfici produttive di soli rifiuti speciali non assimilabili dovevano considerarsi già escluse ex lege dalla TARI; ai Comuni era, di fatto, rimessa solo la facoltà di individuare ulteriori superfici da sottrarre all’assimilazione e, quindi, alla tassazione.

Le modifiche al Testo Unico dell’Ambiente
Con l’obiettivo di recepire le direttive europee in materia di rifiuti ed attuare altri atti dell'Unione europea, in particolare la direttiva UE 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE, il Legislatore ha emesso il d.lgs. n. 116 del 3 settembre 2020, che ha apportato importanti modifiche al d.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, cosiddetto Testo Unico dell’Ambiente (TUA), nella sua parte IV, dedicata alla disciplina della gestione dei rifiuti e della bonifica dei siti inquinati.
Più precisamente, il citato d.lgs. n. 116/2020 è intervenuto sulle seguenti disposizioni del TUA:

  • art. 183: introducendo al comma 1, lett. b-ter), la definizione di “rifiuti urbani”, così uniformando la normativa nazionale a quella comunitaria ed individuando, al punto 2, i rifiuti simili, per natura e composizione, ai rifiuti domestici ma provenienti da altre fonti, col conseguente venire meno dei cosiddetti “rifiuti assimilati”;
  • art. 184: riguardante la classificazione dei rifiuti, di cui, tra le altre cose, è stato parzialmente modificato il comma 3, contenente l’elenco dei rifiuti speciali;
  • art. 198: che ha subito una duplice modifica, da un lato, con l’abrogazione della lett. g), del comma 2, è venuto meno il potere dei Comuni di regolamentare l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani e si è giunti così ad una classificazione dei rifiuti uniforme su tutto il territorio nazionale (proprio in osservanza alla nuova definizione di rifiuto urbano di matrice europea), dall’altro, con il nuovo comma 2-bis, in funzione del quale è stato previsto che le utenze non domestiche possano conferire al di fuori del servizio pubblico i propri rifiuti urbani, previa dimostrazione di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi;
  • art. 238, comma 10: prevedendo espressamente l’esclusione della corresponsione della componente tariffaria, rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti, per le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani e li conferiscono al di fuori del servizio pubblico, dimostrando di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi; viene precisato che la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico, ovvero del ricorso al mercato, deve essere effettuata per un periodo non inferiore a cinque anni (per completezza si osserva come l’art. 238 del TUA, in realtà, disciplini la c.d. tariffa integrata ambientale o TIA2, successivamente soppressa dall’art. 14, comma 46, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. In tal senso il Legislatore si è impegnato ad apportare quanto prima la necessaria modifica normativa).

Coerentemente con le modifiche degli artt. 183, 184 e 198 del TUA sopra richiamate, è stato rivisto anche l’allegato L-quinquies, contenente l’elenco delle attività e funzioni, pubbliche e private, produttive di quei “rifiuti urbani provenienti da fonti diverse da quelle domestiche” e contenuti nell’allegato L-quater, elenco unico a livello nazionale.
Nell’allegato L-quinquies non compare più la precedente categoria “20 - attività industriali con capannoni di produzione”, mentre continuano ad essere previste diverse tipologie di attività artigianali (categorie 17, 18, 19 e 20), attività commerciali (categorie 13, 14, 15, 16), attività di somministrazione di cibi e bevande (categorie 21, 22, 23, 24, 25, 26, 28) ipermercati (categoria 27); continuano ad essere espressamente menzionati gli alberghi con ristorante (categoria 7) e gli alberghi senza ristorante (categoria 8), così come le autorimesse e i magazzini senza alcuna vendita diretta (categoria 3), le esposizioni e gli autosaloni (categoria 6), gli uffici, le agenzie e gli studi professionali (categoria 11).

Perplessità applicative sulla nuova TARI: i chiarimenti della Circolare ministeriale n. 37259
Le appena ricordate modifiche normative hanno avuto delle importanti conseguenze sull’applicazione della TARI, che hanno creato – come frequentemente accade – non pochi dubbi interpretativi e problematiche applicative. A fare chiarezza è intervenuta la Circolare ministeriale n. 37259 del 12 aprile 2021.
A seguito della riforma sono, sempre e totalmente, escluse dall' assoggettamento alla TARI, tanto per la quota fissa quanto per la quota variabile, le superfici produttive delle aziende industriali (quali capannoni di produzione, laboratori, ecc.), presupponendosi che in queste superfici si formino, per definizione, solo ed esclusivamente rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere, a proprie spese e responsabilità, i relativi produttori. Analogamente, sono esclusi dall' assoggettamento alla TARI, tanto per la quota fissa quanto per la quota variabile, tutti i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti.
Come già in precedenza, restano escluse dalla TARI le superfici che ospitano attrezzature impiantistiche, centrali termiche, cabine elettriche, vani ascensori/montacarichi, locali destinati a stagionatura o essiccazione delle merci, celle frigorifere, silos e simili, in quanto in queste superfici, per loro oggettive caratteristiche intrinseche, non possono prodursi rifiuti urbaniRestano parimenti escluse dalla TARI le superfici aziendali esterne, in quanto queste aree sono da considerarsi quali “pertinenze” delle superfici interne dove avvengono le lavorazioni industriali. In particolare, risultano escluse - come peraltro precisavano, già prima della riforma normativa, molti regolamenti Comunali - le aree aziendali adibite all'ingresso ed al transito dei veicoli, come anche i parcheggi (gratuiti) dei dipendenti e visitatori. Si precisa che, tra le superfici esterne esenti, vanno ricomprese anche quelle “operative”, ovvero quelle aree nelle quali avvengono specifiche fasi lavorative, con produzione in loco di rifiuti speciali ora non più “assimilati”, appunto perché pertinenti alle attività industriali.
Viceversa, la Circolare ha avuto cura di esplicitare quali sono le aree di aziende industriali che possono produrre rifiuti urbani, e che restano quindi sottoposte al pagamento dell’intera TARI, sia per la quota fissa sia per la quota variabile, purché, ovviamente, per lo smaltimento dei rifiuti prodotti in tali aree ci si avvalga del servizio pubblico comunale. Trattasi delle cd. superfici terziarie delle aziende, ovvero gli uffici amministrativi e tecnici, le sale campionarie, gli spacci aziendali, i locali igienici e gli spogliatoi, le aree ristoro, mense-refettori, infermerie e locali similari. Per lo più, a queste superfici può essere applicata la tariffa della categoria 11 dell’allegato L-quinquies, intitolata “Uffici, agenzie, studi professionali”; ma può trovare applicazione anche la tariffa della categoria 22, “Mense, birrerie, hamburgherie”, in relazione alle mense o ai refettori aziendali, così come la tariffa prevista per la categoria 6, “Esposizioni, autosaloni”, per le sale campionarie o espositive, ovvero la tariffa della categoria 13, “Negozi abbigliamento, calzature, librerie, etc.” oppure 15, “Negozi particolari quali filatelia, tende e tessuti, tappeti, etc.” per gli spacci aziendali.
I rifiuti provenienti dalle superfici terziarie delle aziende conferibili al servizio pubblico sono quelli, e solo quelli, analiticamente individuati nell’allegato L-quater del d.lgs. n. 116/2020.

La normativa con riguardo ai magazzini e depositi aziendali
Un approfondimento a parte meritano le superfici di magazzini e depositi aziendali.
Come già abbiamo sottolineato in precedenza, il comma 649 della L. 147/2013 istitutiva della TARI così recita: “Con il medesimo regolamento (il regolamento di applicazione della TARI) il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione”.
Il comma ha generato, come predetto, indubbia perplessità circa la discrezionalità dei Comuni nel definire l’eventuale esenzione da TARI per una superficie; la circolare ministeriale n. 37259 del 12 aprile 2021 ha definitivamente chiarito che le superfici dove avviene la lavorazione industriale sono escluse dall’applicazione dei prelievi sui rifiuti, compresi i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti, sia con riferimento alla quota fissa che alla quota variabile”.
Pertanto, tutti i magazzini inseriti nei complessi produttivi aziendali e contenenti materie prime in ingresso, semilavorati e beni in uscita, ovvero merci e prodotti finiti aziendali, vengono esclusi dalla TARI: tale esclusione non è un’autentica novità, poiché nei magazzini aziendali gli scarti prevalenti rientrano nella categoria degli “imballaggi terziari”, per cui, come già da d.lgs. 22/1997 “Ronchi” e TUA, vale il divieto di conferimento al servizio pubblico. Nella vigenza della precedente normativa, però, come già ricordato nell’incipit dell’articolo, tale divieto è stato oggetto di interpretazioni variegate da parte dei regolamenti Comunali e della giurisprudenza.
Ragioni di coerenza con la ratio legis sottesa alla riforma normativa suggeriscono che anche i magazzini di aziende industriali collocati in luoghi diversi dal sito dove avvengono le lavorazioni industriali, ma “esclusivamente e funzionalmente” asserviti al rifornimento di beni oggetto di lavorazioni o utilizzati per il deposito esclusivo di beni in uscita dalle fasi di lavorazione, dovrebbero essere esclusi dalla tassazione. Il Comune potrebbe ragionevolmente invitare i contribuenti a far pervenire una autocertificazione che comprovi il legame tra il sito del magazzino ed il sito produttivo servito, ma tale strumento non potrebbe mai essere ritenuto dai Comuni condizione necessaria per fruire dell’esenzione, pur giustificandosi nell’ottica di un rapporto collaborativo tra contribuente ed Ente, che verrebbe così agevolato nella ricostruzione e conoscenza delle superfici riconducibili alle attività industriali e quindi nell’individuazione delle aree esenti, evitando inutili verifiche o eventuali avvisi di accertamento, che sarebbero in un secondo momento annullati perché illegittimi. Tra le aree qualificabili come “magazzini”, una nota a parte è doverosa per i magazzini delle attività di logistica per conto terzi. Tali magazzini, infatti, non sono direttamente legati ad una attività produttiva, ma è innegabile il collegamento funzionale con le aziende servite. È ragionevole che l’esenzione valga anche per queste aree, purché la piattaforma logistica sia direttamente funzionale ad un’azienda o ad un gruppo di aziende produttive individuate. Anche in tale ipotesi, la richiesta da parte dei Comuni di una autocertificazione ai fini della detassazione – che comunque non ne rimarrebbe pregiudicata – sarebbe ragionevole.
Qualora dovesse mancare il diretto legame funzionale con ben precise attività produttive, per i magazzini di attività di logistica la TARI potrebbe essere applicata commisurando la tariffa in base  alla ridotta quantità di rifiuti prodotti, oppure facendo applicazione delle fattispecie di esclusione e riduzione della quota tariffaria variabile, in relazione alla produzione di rifiuti non conferibili al servizio pubblico (come sono gli scarti di imballaggi terziari che si producono tipicamente nei magazzini) oppure avviati al recupero.  
Atteso il tenore della modifica dell’articolo 184, comma 3, lettera d) del TUA, le considerazioni appena svolte, con riferimento alle attività industriali, devono considerarsi valevoli anche per i rifiuti derivanti dalle attività artigianali.

I rifiuti delle attività agroindustriali ed affini rimangono classificati come speciali
Quanto alle attività agricole, agroindustriali e della pesca, si deve precisare che l’attuale formulazione delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 116 del 2020 porta a classificare come speciali tutti i rifiuti derivanti da dette attività, comprese quelle ad esse connesse, di cui all’art. 2135 del codice civile.
A tale conclusione conduce necessariamente il combinato disposto dell’art. 183, comma 1, lettera b-sexies del TUA che dispone che: “i rifiuti urbani non includono, tra gli altri, i rifiuti della produzione, dell'agricoltura, della silvicoltura, della pesca”, e dell’art. 184, comma 3, lettera a), che prevede che sono rifiuti speciali: “a) i rifiuti prodotti nell'ambito delle attività agricole, agro-industriali e della silvicoltura, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2135 del codice civile, e della pesca”. A ciò si aggiunge poi quanto previsto nell’allegato L-quater di cui all'articolo 183, comma 1, lettera b-ter), punto 2 del TUA, secondo il quale “rimangono esclusi i rifiuti derivanti da attività agricole e connesse di cui all'articolo 2135 del codice civile” e nel successivo Allegato L-quinquies, in base al quale “rimangono escluse le attività agricole e connesse di cui all'articolo 2135 del codice civile”.
Dal complesso delle norme di settore si evince che i rifiuti derivanti dalle attività agricole, agroindustriali e della pesca, produttive di rifiuti speciali, siano esclusi dall’applicazione del nuovo regime previsto per i rifiuti urbani. Tale esclusione è in linea con quanto previsto dalla direttiva comunitaria di riferimento, ovvero la direttiva 2008/98/CE, come modificata dalla direttiva UE 2018/851, che all’articolo 3 precisa che “i rifiuti urbani non includono, tra gli altri, i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca”.
In questo quadro generale, occorre, però, considerare la previsione di chiusura di cui all’allegato L-quinquies, che chiarisce che “attività non elencate, ma ad esse simili per loro natura e per tipologia di rifiuti prodotti, si considerano comprese nel punto a cui sono analoghe”. Sulla base di tale previsione, pertanto, le attività relative alla produzione agricola sembrano mantenere la possibilità di concordare, a titolo volontario, con il servizio pubblico di raccolta le modalità di adesione al servizio stesso per le tipologie di rifiuti indicati nell’allegato L-quater.

Articolo di Lorella Martini

 

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