Come noto, l'art. 23-ter del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001) dispone che, fatta salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unià immobiliare diversa da quella originaria, ancorchè non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purchè tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle di seguito elencate:
a) residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva;
b) produttiva e direzionale;
c) commerciale;
d) rurale.
L'espressione "cambio di destinazione d'uso" viene utilizzata da un punto di vista urbanistico e catastale per indicare una modifica delle finalità di utilizzo di un'unità immobiliare o di una parte di essa, tale da comportare un suo diverso impiego.
Il cambio di destinazione d'uso può avvenire tra categorie funzionali diverse, oppure all'interno della medesima categoria funzionale: la distinzione tra queste due fattispecie assume rilevanza per quanto concerne il titolo necessario per effettuare la variazione stessa.
La prima regola generale da considerare: la legislazione regionale e i regolamenti locali.
Come indicato nell'incipit dell'art. 23-ter del Testo Unico Edilizia, la legislazione regionale è la fonte normativa facoltizzata dal legislatore nazionale a disciplinare i mutamenti di destinazione d'uso. Conseguentemente, la prima regola quando si deve valutare un mutamento di destinazione d'uso è quella di verificare le norme regionali eventualmente adottate.
Tali norme sono rilevanti per l'individuazione:
Ancora, poichè spesso la legislazione regionale facoltizza, a sua volta, i Comuni a prevedere norme specifiche nei propri regolamenti e strumenti urbanistici, è necessario verificare anche le norme locali.
In merito alla legislazione regionale, a titolo esemplificativo, ricordiamo che:
> la L.R. Lombardia n. 12/2005 prevede una semplice comunicazione per i mutamenti senza opere, purchè conformi alle previsioni urbanistiche comunali e alla normativa igienico-sanitaria (art. 52, comma 2); serve, invece, il permesso di costruire per i mutamenti, anche senza opere, finalizzati alla creazione di luoghi di culto e luoghi destinati a centri sociali (art. 52, comma 3-bis) o all'ampliamento di sale giochi, sale scommesse e sale bingo (art. 52, comma 3-ter);
> la L.R. Piemonte n. 56/1977 prevede una CILA per i mutamenti senza opere nel caso di unità immobiliari con volume non superiore a 700 mc (art. 48, comma 1-bis); serve, invece, il permesso di costruire o la SCIA alternativa al permesso di costruire negli altri casi;
> la L.R. Emilia-Romagna n. 13/2015 prevede che Il mutamento di destinazione d'uso con opere è soggetto al titolo abilitativo previsto per l'intervento edilizio al quale è connesso (art. 28, comma 6-bis); inoltre, distingue la categoria produttiva da quella direzionale, mentre il legislatore nazionale le considera equiparate (art. 28, comma 3);
> la L.R. Liguria n. 16/2008 richiede la SCIA per i mutamenti di destinazione d'uso senza opere all'interno della medesima categoria (art. 13-bis); inoltre, accanto alle cinque categorie previste dal legislatore nazionale, aggiunge autorimesse e rimessaggi e servizi;
> la L.R. Puglia n. 48/2017 prevede la SCIA per i mutamenti di destinazione d'uso all'interno della medesima categoria ed il permesso di costruire o la SCIA alternativa al permesso di costruire nel caso di passaggio fra categorie diverse (art. 4);
> la L.R. Sardegna n. 23/1985 prevede il permesso di costruire per i mutamenti con opere esterne e rilevanti ai fini urbanistici e la SCIA negli altri casi (art. 11, comma 7); inoltre, prevede solo quattro categorie d'uso: turistico-ricettiva; artigianale e industriale; direzionale, commerciale e sociosanitaria; agricolo-zootecnica (art. 11, comma 1);
> la L.R. Umbria n. 1/2015 (sia pur con alcune ipotesi particolari) prevede la SCIA per i mutamenti senza opere ed il permesso di costruire (o la SCIA alternativa al permesso di costruire) negli altri casi (art. 155, comma 7).
La seconda regola: le indicazioni della giurisprudenza.
A supporto della valutazione di un mutamento della destinazione d'uso, è utile anche ricordare gli orientamenti giurisprudenziali secondo cui, generalmente, è richiesta la SCIA nel caso di mutamento all'interno della medesima categoria (TAR Campania, Napoli, sez. VII, sent. 3 novembre 2021, n. 6938; in termini: Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 15 maggio 2017, n. 2295; TRGA Trento, sent. 4 marzo 2022, n. 53; TAR Marche, sez. I, sent. 20 luglio 2020, n. 467; TAR Sicilia, Catania, sez. IV, sent. 12 luglio 2017, n. 1773), come nell'ipotesi in cui, in zona agricola, si trasformi un locale originariamente adibito a concimaia/deposito attrezzi in stalla (TAR Valle d'Aosta, sent. 25 marzo 2019, n. 14) oppure nel caso di trasformazione di un albergo in residenza turistica alberghiera (TAR Marche, sez. I, sent. 20 luglio 2020, n. 467).
E', invece, richiesto il permesso di costruire (o la SCIA alternativa) nei casi di mutamento di destinazione d'uso fra categorie diverse, come nei seguenti casi concreti:
La debenza degli oneri di urbanizzazione.
Ricordiamo che, secondo la giurisprudenza (TAR Toscana, sez. III, sent. 3 maggio 2022, n. 607; sent. 8 ottobre 2019, n. 1314; TAR Piemonte, sez. II, sent. 3 marzo 2022, n. 176; TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 21 settembre 2020 n. 1675), gli oneri di urbanizzazione sono dovuti nei casi in cui si ha un mutamento di destinazione d'uso urbanisticamente rilevante, anche senza opere (TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 5 giugno 2020, n. 997, richiamando TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 8 marzo 2013, n. 580), purchè lo stesso sia accompagnato da un effettivo incremento del carico urbanistico.
Tale interpretazione, del resto, è perfettamente coerente con la finalità delle norme che prevedono l'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione a carico dei privati che intendano realizzare un intervento edilizio e con l'interpretazione che ne è stata data dalla costante giurisprudenza. Il pagamento degli oneri di urbanizzazione va infatti ricondotto all'aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella misura in cui dallo stesso derivi un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione; gli oneri di urbanizzazione, quindi, hanno natura compensativa rispetto alle spese di cui l'amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio. Inoltre, il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sè, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità. Per tutte queste ragioni, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel momento in cui l'intervento determina un aumento del carico urbanistico (Cons. Stato, sez. IV, sent. 10 gennaio 2022, n. 148 e giurisprudenza ivi citata), da accertare in base alle peculiarità del caso di specie (TAR Toscana, sez. III, sent. 21 novembre 2019, n. 1587).
Ad esempio, l'aumento del carico urbanistico è stato individuato (TAR Piemonte, sez. II, sent. 7 gennaio 2020, n. 20) nel caso di un intervento di ristrutturazione su un immobile avente originariamente destinazione residenziale per una parte e di deposito per un'altra, laddove a seguito di tale intervento la parte di deposito diventi a destinazione residenziale, si concretizzerà, per tale modifica, un aumento di carico urbanistico, con conseguente obbligo di corresponsione degli oneri di urbanizzazione; viceversa, non si ha un aumento del carico urbanistico ma una riduzione dinanzi ad un edificio, in precedenza adibito dapprima a scuola materna e quindi a scuola superiore, in seguito convertito a uso residenziale di un unico nucleo familiare di tre componenti (TAR Veneto, sez. II, sent. 9 luglio 2021, n. 914).
Il ritorno alla precedente destinazione d'uso
Il ritorno alla precedente destinazione d'uso è possibile ma non è qualificabile come ravvedimento in grado di escludere le conseguenze economiche del primo cambio di destinazione d'uso.
Il proprietario dell'edificio esercita sempre la stessa facoltà, ma dovrà pagare quando transita verso destinazioni d'uso più onerose e non dovrà pagare nel caso inverso, senza però alcun diritto al rimborso (TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sent. 1 febbraio 2021, n. 108).
Articolo di Mario Petrulli
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