La Rivista del Sindaco


Le progressioni tra le aree nel periodo transitorio

Modalità di finanziamento e obbligo di riserva del 50% con accesso dall’esterno
Approfondimenti
di Monteverdi Massimo
13 Ottobre 2023

Il tema delle progressioni di carriera attraverso il passaggio da un’area di inquadramento a quella superiore è disciplinato nel contratto collettivo 2019-2021 sottoscritto il 16 novembre 2022 da due diversi articoli che introducono altrettante modalità operative per l’attuazione dell’istituto.
L’art. 15 del CCNL propone la regolamentazione ordinaria delle progressioni tra aree, attuabile fin d’ora. Inoltre, è previsto un periodo transitorio di tre anni durante il quale è possibile applicare anche la fattispecie indicata specificamente all’art. 13, commi 6-8. Proprio su quest’ultima, già utilizzabile dallo scorso 1° aprile (e fino al 31 dicembre 2025), si sono concentrate le analisi degli interpreti che ne hanno evidenziato alcune peculiarità non sempre delineate con chiarezza.

Le progressioni in deroga, sino al 31 dicembre 2025
L’art. 13, c. 6 dispone sinteticamente quanto segue:
“6. In applicazione dell’art. 52, comma 1-bis, penultimo periodo, del D.Lgs. n. 165/2001, al fine di tener conto dell’esperienza e della professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dall’amministrazione di appartenenza, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e, comunque, entro il termine del 31 dicembre 2025, la progressione tra le aree può aver luogo con procedure valutative cui sono ammessi i dipendenti in servizio in possesso dei requisiti indicati nella allegata Tabella C di Corrispondenza.”
Si tratta, come si vede, di una procedura semplificata con l’obiettivo esplicito di correggere, almeno parzialmente, l’automatismo del nuovo sistema di classificazione che assegna alle vecchie categorie un’area di inquadramento specifica senza poter differenziare altrimenti (se non sotto il profilo del trattamento economico) tra vecchio e nuovo posizionamento entro il perimetro contrattuale.
Ciò richiede, a dire il vero, un lavoro raffinato da parte degli enti nella definizione dei profili professionali per impedire che, a partire dai concorsi successivi all’entrata in vigore del sistema di classificazione, si creino sovrapposizioni con il precedente ordinamento non coerenti con le nuove declaratorie di area.
In questa fase, il salto di area, lungi dall’essere attuato con le modalità tipiche del concorso, si riduce a una procedura di comparazione tra curriculum di dipendenti con determinate caratteristiche (esperienza professionale e titoli di studio).
Il successivo comma 7, infatti, elenca tassativamente i tre ambiti di valutazione ai quali sottoporre i candidati al passaggio:

  1. l’esperienza maturata nell’area di provenienza, anche a tempo determinato;
  2. il titolo di studio posseduto;
  3. le competenze professionali quali, a titolo esemplificativo, le competenze acquisite attraverso percorsi formativi, le competenze certificate (ad es. competenze informatiche o linguistiche), le competenze acquisite nei contesti lavorativi, le abilitazioni professionali.

Spetta a ciascun ente regolamentare, previo confronto con le parti sindacali, l’importanza relativa da assegnare a ciascuno degli elementi appena elencati, ai quali peraltro non può essere attribuito un peso inferiore al 20% di quello complessivo.

Il finanziamento delle progressioni in deroga
L’art. 13, c. 8, CCNL 16 novembre 2022 illustra, poi, le modalità di finanziamento dei costi derivanti dalle progressioni nel periodo transitorio, distinguendo tra:

  • quota dello 0,55% del monte salari del personale dei livelli relativo al 2018;
  • spazi assunzionali a tempo indeterminato disponibili all’atto della progressione.

In realtà, quest’ultima facoltà era esclusa nella prima versione del contratto, resa pubblica nell’agosto del 2022.
La marcia indietro, in tutta evidenza, non poteva essere evitata poiché, in concreto, la sola modalità di cui al punto a) non garantisce affatto che si possa attuare la norma, soprattutto negli enti di minori dimensioni.
Ipotizzando che in un Comune il monte salari 2018 sia pari a 300.000 euro, lo 0,55% consente di attuare una progressione tra aree per non più di 1.650 euro.
Con quella cifra non si finanzia neppure un passaggio dall’Area degli operatori esperti a quella degli istruttori.
Era indispensabile, quindi, allargare la possibilità di finanziamento includendovi l’utilizzo di spazi assunzionali calcolati ai sensi del D.M. 17 marzo 2020. Ciò che risulta quasi “naturale”, considerando che una progressione tra aree comporta un incremento stabile di spese di personale a tempo indeterminato.
Anche l’ARAN riconosce implicitamente la necessità di finanziare le progressioni con risorse ordinarie, oltre che con quelle disposte per legge.
Nell’orientamento applicativo CFL-209 si legge infatti:
“Sulla base delle richiamate discipline, gli enti hanno dunque la possibilità di stanziare risorse contrattuali aggiuntive per le procedure speciali di progressione verticale effettuate ai sensi dell’art 13, commi 6, 7 e 8 del CCNL 16 novembre 2022 e dell’art. 52, comma 1-bis penultimo periodo del d.lgs. n. 165/2001, in una misura massima dello 0,55% del m.s. 2018 ed in coerenza con i fabbisogni di personale. 
Se decidono in tal senso, tutte le risorse stanziate sono destinate a progressioni verticali speciali della fase transitoria. 
È il caso di precisare che tali risorse possono essere previste in forza di una disposizione di contratto collettivo nazionale e, quindi, indipendentemente dalle condizioni che rendono possibile lo stanziamento di risorse destinate ad assunzioni, in base alle previsioni di legge che regolano le assunzioni nelle amministrazioni del comparto.
Ovviamente, gli enti continuano ad avere la possibilità di stanziare, in coerenza con i propri fabbisogni, anche le ordinarie risorse assunzionali, sussistendone le condizioni (in particolare per quanto concerne il rispetto dei parametri di sostenibilità finanziaria).

Garantire l’accesso dall’esterno è sempre indispensabile
Una volta chiarito il punto su come finanziare le progressioni, è necessario fare luce su una questione solo apparentemente controversa: le progressioni nel periodo transitorio implicano comunque la destinazione del 50% dei posti all’accesso dall’esterno?
Dopo l’entrata in vigore del contratto, si è diffusa un’interpretazione della norma contrattuale che, basandosi esclusivamente sull’assenza di un esplicito riferimento alla riserva del 50%, ne affermava la facoltatività.
Tale interpretazione è palesemente insostenibile poiché il comma 6 rimanda in modo esplicito all’applicazione dell’art. 52. c. 1-bis del D.Lgs. n. 165/2001 che inequivocabilmente dispone: “Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all'accesso dall'esterno (…)”.
Il mirino si è allora spostato sull’altra fessura lasciata aperta dalla norma transitoria: far dipendere l’applicazione della riserva dalle modalità di finanziamento.
Confortati dall’interpretazione data da ARAN con il già citato orientamento CFL-209, gli analisti più ottimisti hanno ritenuto che, nel caso di esclusivo finanziamento con la quota del monte salari 2018, la riserva possa anche non operare.
L’ARAN, infatti, sostiene: “(…) se gli enti decidono di stanziare le risorse ai sensi del comma 612, tutte le risorse stanziate sono destinate a progressioni verticali di cui all’art. 13; se decidono di stanziare, in aggiunta alle prime, ordinarie risorse destinate ad assunzioni (nel rispetto dei limiti previsti dalla legge per le assunzioni di personale), dovranno garantire in misura adeguata l’accesso dall’esterno (almeno 50% dei posti finanziati con tali risorse).”
Gli enti che finanziassero la progressione di un dipendente dall’Area degli Operatori a quella degli Operatori esperti, sarebbero, secondo questo indirizzo, esenti dalla necessità di coprire un secondo posto con concorso pubblico.
C’è però un punto che non può essere escluso o semplicemente ignorato: le progressioni tra aree sono procedure concorsuali riservate al personale interno e, per uniforme indicazione giurisprudenziale, la riserva agli interni deve sempre essere temperata dalla necessaria possibilità di allargare a candidati esterni l’accesso all’impiego pubblico.
Si tratta di un principio costituzionale che nessuna interpretazione, per quanto autorevole, può scalfire.
E d’altra parte, è stata la stessa Agenzia a riconoscere, già a suo tempo, i limiti del proprio ruolo di interprete quando ha sostenuto che le risposte fornite alle richieste degli enti ”assumono il contenuto di un orientamento di parte datoriale, e quindi non hanno carattere vincolante e non rivestono neanche la caratteristica della “interpretazione autentica” per la quale, invece, è prescritto uno specifico procedimento negoziale.” (v. orientamento applicativo RAL-275).
Sulla giurisprudenza costituzionale a tutela della pubblicità delle procedure assunzionali, basterà citare, fra tutte, Cost. n. 133/2020:
“(…) il concorso pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, costituisce il metodo migliore per l’accesso alla pubblica amministrazione in condizioni d’imparzialità; valore, quest’ultimo, in relazione al quale il principio sancito dall’art. 97 Cost. impone che l’esame del merito sia indipendente da ogni considerazione connessa alle condizioni personali dei concorrenti (sentenza n. 1 del 1999). 
Il concorso pubblico costituisce, quindi, la forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2018, n. 190 del 2005 e n. 34 del 2004).
È vero che il legislatore ordinario può contemplare deroghe rispetto alla regola generale del pubblico concorso. 
Tuttavia, ciò deve avvenire entro i limiti derivanti dalla stessa esigenza di garantire il buon andamento dell’amministrazione (sentenza n. 477 del 1995), fermo il necessario vaglio di ragionevolezza (sentenza n. 34 del 2004) e la rigorosa delimitazione dell’area delle eccezioni al concorso (sentenza n. 7 del 2015).
Tali deroghe, però, non possono trovare fondamento nella sola esigenza di stabilizzare il personale precario dell’amministrazione, in quanto non può assumere a tal fine rilevanza la sola tutela del (pur legittimo) affidamento dei lavoratori sulla continuità del rapporto (sentenze n. 205 e n. 81 del 2006); finalità questa che non è di per sé sola funzionale al buon andamento della pubblica amministrazione e non sottende straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificare le deroghe in questione (sentenza n. 110 del 2017).”
Non spaventi il fatto che l’interpretazione di ARAN è corroborata dal Dipartimento della Funzione pubblica e dal MEF. In realtà, questi ultimi hanno semplicemente confermato che le risorse stanziate in misura non superiore allo 0,55% del monte salari 2018 possono essere integralmente destinate a progressioni verticali effettuate con procedura speciale.
La coda del ragionamento è tutta di ARAN, alla quale dunque vanno rivolte pacate ma ferme critiche.
In assenza di un interesse generale da tutelare attraverso un percorso riservato a soli candidati interni, interesse peraltro mai rivendicato dagli interpreti della tesi permissiva, risulta inevitabile garantire sempre la quota minima di copertura dei posti con accesso dall’esterno.
L’esiguità dei fondi derivanti dall’accantonamento dello 0,55% del monte salari 2018 renderà poi sostanzialmente inevitabile il ricorso agli spazi assunzionali disponibili.
Ciò consentirà di rispettare il principio costituzionale del concorso pubblico senza dover rinunciare alle progressioni tra le aree.

Articolo di Massimo Monteverdi
 


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