FUSIONI: NON BASTA IL SOLO STUDIO DI FATTIBILITÀ

Le ragioni identitarie che impediscono alle fusioni fra Comuni di decollare (di Concetta Rau e Francesco Capobianco su “Corriere Imprese - Bologna” del 13 marzo 2017) 
Gli autori - che collaborano con la società di ricerca e consulenza economica Nomisma - tracciano nell’articolo proposto un breve excursus della storia delle fusioni tra Comuni e dei relativi interventi legislativi che le hanno previste e incentivate e avanzano, inoltre, alcuni suggerimenti a loro giudizio necessari affinché il processo di fusione abbia successo, soprattutto - si direbbe - dal punto di vista della percezione dei cittadini coinvolti. I vantaggi che deriverebbero ai Comuni che decidono di fare vita ad un nuovo ente - oltre e al di là degli incentivi economici concessi dallo Stato - in termini di miglioramento dell’efficienza delle “macchine comunali” e della qualità dei servizi resi ai cittadini sono invece presentati dagli autori dell’articolo come un dato di fatto. Il tema dell’”eccessiva parcellizzazione” del sistema comunale nazionale sarebbe - sostiene l’articolo - un tema annoso che negli anni recenti, a causa delle ristrettezze che i Comuni hanno dovuto affrontare sia in termini di risorse finanziarie che umane, è riemerso con forza. Il primo tentativo di porvi rimedio risale a più di venticinque anni fa, con la legge 142/90 la cui attuazione si rivelò però particolarmente critica sia per le unioni comunali che per le conseguenti fusioni obbligatorie. Più successo hanno avuto i successivi interventi che hanno introdotto degli incentivi a sostegno dei processi aggregativi. In particolare, tra il 1995 e il 2011, i Comuni interessati dai processi di fusione sono stati 24 con la costituzione di 9 nuovi Comuni; ma è con l’entrata in vigore del Dl 95/2012 e con l’introduzione dei meccanismi di incentivazione finanziaria che si sono registrati numeri più “consistenti”: 179 vecchi Comuni si sono sciolti in 75 nuovi Enti. 

Nel prossimo triennio, inoltre, è già stata definita la data di istituzione di 11 nuovi Comuni e il Governo ha previsto, con la Legge di stabilità del 2017, l’innalzamento del contributo per le fusioni dal 40% dei trasferimenti erariali 2010 al 50%. Strumento considerato fondamentale per il governo del processo di fusione - cui la stessa Nomisma è stata in diverse occasioni impegnata - è lo studio di fattibilità che “oltre ad analizzare il contesto socio economico dei territori interessati, identifica gli ambiti ottimali di aggregazione, i modelli organizzativi più efficaci ed efficienti, e più in generale i vantaggi e le criticità che si potrebbero manifestare a seguito di tali processi”.  Malgrado (gli apparentemente incontrovertibili) vantaggi dei processi di fusione però - prosegue l’articolo - questi appaiono ancora piuttosto limitati e pressoché assenti al Sud e, anche laddove una fusione è in corso, non sempre la cittadinanza si è espressa positivamente. “Molto spesso le cause attengono - è la spiegazione fornita - a ragioni identitarie e non di rado vi è il timore da parte dei cittadini di sentirsi meno rappresentati e di vedere ridotti i servizi nei loro territori”. Quale la soluzione proposta? Oltre allo studio di fattibilità, che comunque rappresenta una base informativa indispensabile, prima di intraprendere il processo di fusione occorrerebbe dotarsi di un “piano operativo e di una progettazione esecutiva che dettagli le scelte in un’ottica di lungo periodo, anche per rendere maggiormente consapevole la cittadinanza delle conseguenze sulla vita di tutti i giorni”.