La Relazione sulla attività svolta dalla Corte dei conti nell’anno 2024, resa nota in occasione della recente inaugurazione dell’anno giudiziario, ha evidenziato, per quanto riguarda il controllo sulla gestione finanziaria degli enti locali, la esistenza di diffuse criticità e irregolarità contabili, le più frequenti delle quali riguardano la gestione dei residui, rilevando come oltre il 60% siano relative all’improprio mantenimento di poste attive che non dovrebbero essere conservate nelle scritture contabili.
Tale Relazione assume particolare valenza in questo periodo, nel quale gli enti locali sono impegnati nelle operazioni di riaccertamento dei residui, procedimento fondamentale volto a verificare la correttezza dei residui attivi e passivi presenti in bilancio al fine di confermare o eliminare le somme non più esigibili o dovute: è questo un processo indispensabile per garantire la correttezza e l’attendibilità del bilancio degli enti locali, rappresentando un’operazione di particolare rilevanza, in quanto influisce direttamente sulla corretta determinazione del risultato di amministrazione che emergerà dal rendiconto.
L’articolo 228 del TUEL al comma 3 prevede che: “Prima dell’inserimento nel conto del bilancio dei residui attivi e passivi l’ente locale provvede all’operazione di riaccertamento degli stessi, consistente nella revisione delle ragioni del mantenimento in tutto od in parte dei residui e della corretta imputazione in bilancio, secondo le modalità di cui all’art. 3, comma 4, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e successive modificazioni”.
Il d.lgs. n. 118/2011, al fine di dare attuazione al principio contabile generale della competenza finanziaria, conferma la necessità dell’operazione annuale di riaccertamento dei residui e, all’art. 3, comma 4, richiamato dal ricordato articolo 228 del TUEL, precisa che “possono essere conservate tra i residui attivi le entrate accertate, esigibili nell’esercizio di riferimento, ma non incassate. Possono essere conservate tra i residui passivi le spese impegnate, liquidate o liquidabili nel corso dell’esercizio, ma non pagate. Le entrate e le spese accertate e impegnate non esigibili nell’esercizio considerato, sono immediatamente reimputate all’esercizio in cui sono esigibili. Nelle scritture contabili dell’Ente persistono residui passivi provenienti dal 2019 e da esercizi precedenti. Il riaccertamento ordinario dei residui è effettuato anche nel corso dell’esercizio provvisorio o della gestione provvisoria. Al termine delle procedure di riaccertamento non sono conservati residui cui non corrispondono obbligazioni giuridicamente perfezionate”.
Il paragrafo 9.1 del principio contabile applicato n. 4/2 precisa quindi che a seguito dell’adozione a regime del principio della competenza finanziaria c.d. potenziata, i residui sono interamente costituiti da obbligazioni scadute; lo stesso paragrafo prevede poi che: “In ossequio al principio contabile generale n. 9 della prudenza, tutte le amministrazioni pubbliche effettuano annualmente, e in ogni caso prima della predisposizione del rendiconto con effetti sul medesimo, una ricognizione dei residui attivi e passivi diretta a verificare:
La ricognizione annuale dei residui attivi e passivi consente di individuare formalmente:
Per quanto riguarda le verifiche da effettuare in occasione del riaccertamento ordinario, la magistratura contabile si è più volte espressa al riguardo.
La Sezione regionale di controllo dell’Emilia-Romagna con deliberazione n. 100/2024 ha evidenziato la necessità che sia operata una rigorosa e attenta verifica delle voci classificate nei residui, finalizzata a mantenere in bilancio solo quelle per le quali la riscossione/pagamento possa essere previsto con un ragionevole grado di certezza. Al fine di conferire veridicità e attendibilità al bilancio dell’amministrazione locale, il legislatore ha stabilito che al termine di ciascun esercizio, prima dell’inserimento in bilancio dei residui, l’ente debba procedere a una specifica operazione di riaccertamento tesa a verificare le posizioni creditorie/debitorie.
Considerata la finalità della norma, deve trattarsi di un controllo sostanziale e non solo formale. L’ente non può limitarsi a verificare la ragione, il titolo giuridico, la giustificazione delle singole poste, ma deve accertare l’effettivo obbligo di riscuotere il credito e pagare il debito attraverso un prudente apprezzamento dell’esistenza dei requisiti essenziali previsti dall’ordinamento.
Solo un’accurata e ponderata attività di previsione “a monte” e di accertamento nel corso dell’esercizio (e non alla fine dello stesso), può preservare l’ente locale dall’irregolare “accumulo” di residui attivi che, se di rilevante consistenza e di difficile, se non impossibile, riscuotibilità, possono incidere in maniera determinante sull’effettiva disponibilità di cassa dell’ente.
La Sezione regionale di controllo dell’Abruzzo, con deliberazione n. 24/2024 ha evidenziato la connessione fra la corretta operazione di riaccertamento dei residui, in particolare quelli attivi, e la prevenzione di rischi per gli equilibri di bilancio. I residui attivi, unitamente alla cassa, costituiscono, infatti, la componente positiva del risultato d’amministrazione al 31 dicembre di ogni anno che, se positivo, può essere utilizzato, nel bilancio dell’esercizio successivo per dare copertura a spese predeterminate nonché per ripianare eventuali, precedenti, disavanzi di amministrazione o di gestione.
Secondo la Corte, il Comune deve provvedere alla revisione delle ragioni del mantenimento dei residui, in particolare di quelli attivi, con la migliore diligenza, attivando le più approfondite verifiche; al fine del rispetto dell’art. 228, comma 3, del TUEL non sono sufficienti prese d’atto di formali riconoscimenti in ordine alla assoluta inesigibilità di crediti, qualora esse non siano conseguenza di attento e sistematico esame dell’intera mole delle poste contabili attive.
Difatti nel caso in cui l’avanzo d’amministrazione sia composto da residui attivi non esistenti o di incerto realizzo, non adeguatamente garantiti dal fondo crediti di dubbia esigibilità, la copertura per le spese sarebbe solo fittizia, costituendo il presupposto per l’emersione successiva di tensioni o insufficienze di cassa. Nello specifico, la citata deliberazione n. 24/2024 ha rimarcato infatti che, l’ente non può limitarsi a verificare che continui a sussistere il titolo giuridico del credito, l’esistenza del debitore e la quantificazione del credito, ma deve anche verificare l’effettiva riscuotibilità dello stesso e le ragioni per le quali non è stato riscosso in precedenza. In questo modo, ove risulti che il credito, di fatto, non è più esistente, esigibile o riscuotibile entro termini ragionevoli, esso deve essere stralciato dal conto dei residui e inserito nel conto del patrimonio in un’apposita voce dell’attivo patrimoniale fino al compimento del termine prescrizionale, al termine del quale deve essere eliminato anche da tale conto, con contestuale riduzione del patrimonio.
La Sezione regionale di controllo della Lombardia con deliberazione n. 55/2024 ha affermato che l’impropria permanenza di residui attivi vetusti nel conto del bilancio, oltre ad “inquinare” la genuina determinazione del risultato di amministrazione, ha ricadute negative sugli equilibri del bilancio, e che sebbene il principio contabile applicato 4/2 non imponga automaticamente la cancellazione dei residui attivi, trascorsi tre anni dalla scadenza del credito non riscosso, tuttavia, il mantenimento di quelli più risalenti costituisce un’evenienza eccezionale che deve essere oggetto di adeguata ponderazione da parte dell’ente.
Per quanto concerne i residui attivi, si era spinta ancora più avanti la Sezione regionale di controllo delle Marche che con la deliberazione n. 144/2023 ha fornito una lettura particolarmente rigorosa delle regole contabili sopra ricordate.
Detta deliberazione classifica i residui attivi, secondo l’anzianità, nel seguente modo:
Nello specifico, secondo i giudici contabili, dal quadro normativo recato dal TUEL, e soprattutto dal principio contabile applicato n. 4/2, emerge che in occasione del riaccertamento ordinario dei residui, fermo restando l’obbligo di congruo accantonamento al FCDE, grava sull’ente locale un onere motivazionale (art. 2697 c.c.) modulato nei seguenti termini:
La citata deliberazione n. 144/2023 precisa inoltre che, trascorsi cinque anni dalla sua scadenza, l’Ente deve quindi motivare non le ragioni per cui intende stralciare il residuo attivo dal conto del bilancio, ma quelle per cui intende mantenerlo e l’intensità di tale onere motivazionale è direttamente proporzionale all’anzianità del residuo mantenuto il bilancio. Detto altrimenti, il residuo attivo ultraquinquennale si presume inesigibile, salvo che l’ente non dimostri l’esistenza di ragionevoli motivazioni per disporne il mantenimento, che dovranno essere tanto più stringenti quanto più remoto è l’esercizio di provenienza.
In conclusione, secondo la Sezione marchigiana la cancellazione dei residui divenuti inesigibili rappresenta un vero e proprio dovere per l’ente locale, specie se l’anzianità è superiore ai cinque anni, evitando in tal modo di non penalizzare il bilancio e fornire una rappresentazione non reale della situazione finanziaria dell’ente.
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