La Rivista del Sindaco


PROVE DI RESISTENZA CONTRO LO SPOPOLAMENTO

Territorio e governo locale
di La Posta del Sindaco
12 Febbraio 2017

Uno studio fotografa la realtà dei Comuni minori sardi e traccia la strada per non arrendersi

Piccoli Comuni, la grande fuga (di Giuseppe Matarazzo su “Avvenire” del 12 febbraio 2017) 
Bortigiadas (SS), Gallura, nel 1951 aveva 1.164 abitanti, nel 2015 erano scesi a 775; Semestene (SS), nella zona di Logudoro-Meilogu, nel 1951 contava 744 abitanti scesi ai 163 attuali; a Esterzili (Provincia del Sud Sardegna), nella Barbagia di Seulo, la popolazione è passata dai 1.641 abitanti del 1961 ai 668 del 2015. L’elenco potrebbe continuare a lungo: si calcola che nei prossimi sessanta anni potrebbero essere 31 i Comuni sardi a non esistere più. Ma dal fenomeno dello “spopolamento” sarebbero interessati 250 Comuni sul totale dei 377 isolani. Sono i dati contenuti nell’ultimo studio pubblicato dal collettivo di architettura Sardarch, nato nel 2008 con l’obiettivo di costituire un polo di discussione intorno all’urbanistica e alle trasformazioni sociali dell’isola. Il fenomeno dello spopolamento dovrebbe essere l’argomento politico del giorno, e invece non lo è, secondo Emiliano Deiana, sindaco di Bortigiadas e appena eletto presidente di Anci Sardegna, che richiama alla responsabilità di tutti, perché lo spopolamento “non è un fatto ineluttabile”.  Non è ovviamente un fenomeno limitato alla sola Sardegna, perché c’è un’intera parte di Italia, considerata “minore”, abitata da oltre 10 milioni di persone, che sembra abbandonata a se stessa e condannata (lentamente) a morire. Come hanno dimostrato anche i terremoti che hanno colpito ultimamente una vasta parte dell’Appennino centrale. Al di là della solidarietà data nell’emergenza, l’ultimo rapporto del Censis parla di “progressivo spopolamento di un’area storica per il Paese, che nell’ultimo periodo aveva resistito solo per la sua attrattiva turistica, ma che ora sembra voglia essere abbandonato anche dalle persone e dalle famiglie rimaste”. Lo stesso si può dire di tutte le aree montane e di molte zone del Sud. Tra i circa 8.000 Comuni italiani, oltre 5.600 sono sotto i 5.000 abitanti e, di questi, quasi 2.000 hanno meno di 1.000 abitanti. Circa un quarto della popolazione vive in quelle che possono essere definite “aree interne” (equivalenti a circa il 60% del territorio italiano) “distanti dai centri di offerta dei servizi di cittadinanza (istruzione, salute e mobilità) e caratterizzate da processi di spopolamento e degrado, pur essendo ricche di importanti risorse ambientali e culturali”. Il dossier di Legambiente 2016 parla di “disagio insediativo” per ben 2.430 Comuni: quasi un Comune su tre.  In attesa di risposte dalla politica “centrale” - ci sarebbero molte aspettative sul disegno di legge per la valorizzazione dei piccoli Comuni e delle aree montane promosso dai deputati Ermete Realacci, presidente della fondazione Symbola, e Enrico Borghi, sindaco di Vogogna (VB) e presidente di Uncem, attualmente al Senato dopo essere stato approvato in settembre dalla Camera - la partita si gioca nei territori con tutta una serie di azioni che possono trasformare - per usare le parole di Antonello Sanna, preside della facoltà di Architettura di Cagliari - “l’irrilevanza di un’anonima periferia dell’impero in una nuova centralità sulla quale vale la pena di investire. La ‘bassa densità insediativa’ trasformata da vincolo in opportunità e risorsa”. Rispondere al “pessimismo della ragione” con “l’ottimismo della volontà”.

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