UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO PER IL MEZZOGIORNO?

Sud, un cambio di visione (di Stefano Manzocchi su “Il Sole 24 Ore” del 9 febbraio 2017) 
In tempi in cui le “exit”, effettive o paventate, sembrano andare molto di moda, fa ben sperare il fatto che, in Italia, si stia provando a far riavvicinare il Sud ai destini economici italiani e continentali. Le ultime proposte sull’estensione del credito di imposta per gli investimenti, l’avvio dei Contratti di sviluppo per le aziende del Sud, e il rilancio del Mediocredito come banca di finanziamento per iniziative di crescita testimoniano una rinnovata attenzione all’economia del Meridione e, forse, anche un cambio di visione circa gli strumenti da adottare. Purtroppo di “riavvicinamento” ce n’è sempre più necessità visto che la crisi economica degli ultimi anni ha scavato un solco ancora più profondo. Qualche dato: il reddito procapite del Sud equivale alla metà circa di quello del Nord Ovest; circa il 70% dei posti di lavori persi negli anni compresi tra il 2008 e il 2014 sono evaporati al Sud. Nè le previsioni per il futuro appaiono particolarmente rosee se si considerano, ad esempio, i dati Invalsi che mostrano un minor livello di preparazione degli studenti meridionali sia al momento dell’ingresso che in quello dell’uscita dalle scuole superiori. Anche se si guarda all’industria presente al Sud colpisce una distanza, non solo geografica, ma anche imprenditoriale e culturale dal sistema produttivo europeo. Sono percentualmente superiori e in maniera sensibile, rispetto al resto del Paese, le aziende che non partecipano a nessun tipo di scambio internazionale: un dato preoccupante per un Paese relativamente piccolo e trainato dagli scambi con l’estero come è il nostro. Se poi si considerano le imprese che fanno parte di quei network dove progettazione, produzione e distribuzione di prodotti industriali avviene almeno su base continentale, anche qui c’è poco da stare allegri: oltre la metà d quelle presenti nel Mezzogiorno partecipano come semplici esportatori o importatori, spesso nel ruolo di fornitori di beni intermedi poco specializzati e quindi facilmente sostituibili da parte del produttore finale.  Ben vengano quindi le iniziative del governo se possono servire a sostenere le imprese che vogliono investire per ammodernarsi e crescere, ed alleviare quindi almeno in parte la frammentazione del tessuto produttivo meridionale che, anche quando è di eccellenza, è comunque “miniaturizzato”. Un bel segnale, infine, sembrerebbe essere la rinuncia al dirigismo centrale di stagioni ormai lontane nel tempo che hanno caratterizzato l’intervento pubblico nel Mezzogiorno, optando invece per la promozione e il consolidamento delle energie imprenditoriali.