La Rivista del Sindaco


REGOLAMENTAZIONE GIOCO D’AZZARDO: PROVE DI INTESA

Territorio e governo locale
di La Posta del Sindaco
06 Febbraio 2017

I numeri relativi alla ludopatie in Italia sono impressionanti, ma slitta l’intesa tra Governo e EELL per una legge che convince solo in parte

Nella settimana appena trascorsa Il tema del gioco d’azzardo e del progetto di legge governativo che dovrebbe finalmente regolamentare un settore finora lasciato all’iniziativa delle sole Amministrazioni locali è stato affrontato da diversi articoli della stampa nazionale. Come ampiamente previsto, la bozza governativa non ha superato l’esame di Comuni e Regioni, ma si spera di poter arrivare ad un’intesa entro questa settimana. Secondo il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, l’accordo dovrebbe essere a portata di mano. Un filo meno ottimisti sono però apparsi i commenti espressi da alcune Regioni, come Puglia e Lombardia, che in materia di contrasto alle ludopatie si sono date delle norme molto severe. Dure critiche al progetto di legge sono invece venute da alcuni settori dell’opposizione e della società civile, come la Consulta antiusura, che hanno parlato di una legge che rischia addirittura di fare peggio, di fatto impedendo la regolamentazione di Regioni e Comuni e, addirittura, creando le condizioni per far nascere dei “mini-casinò” di quartiere autorizzati. Sull’argomento segnaliamo due articoli pubblicati dal quotidiano “Avvenire”, uno precedente alla mancata intesa, molto critico sui contenuti della proposta di legge, e uno subito successivo che dà conto dei possibili sviluppi per arrivare all’accordo. Per avere un’idea sulle dimensioni che il fenomeno gioco d’azzardo ha assunto nel nostro Paese, riportiamo una serie di dati presa da un reportage apparso sull’ultimo numero de “L’Espresso”. Infine, un rapido accenno ai contenuti di un articolo apparso su “Il Fatto Quotidiano”: a quanto sembra alcuni Comuni starebbero subendo pressioni affinché ritornino sui provvedimenti restrittivi adottati.  

Azzardo, una settimana per trovare l’intesa (di Antonio Maria Mira su “Avvenire” del 3 febbraio 2017) 
Slittata l’intesa tra Governo, Regioni e Comuni sul riordino del settore dell’azzardo, anche se l’intesa sembrerebbe vicina. “Siamo davvero arrivati all’ultimo miglio” - spiega un soddisfatto presidente dell’Anci - “Abbiamo ottenuto la riduzione del 30% l’anno delle macchinette e una contrazione del 50% delle sale giochi, che saranno divise in due categorie - A e B - entrambe con un limite di 8 ore del tempo di attività e fasce orarie decise dai Comuni”. Nella proposta governativa le sale da gioco della categoria A, per potersi definire tali, dovrebbero sottostare ad una serie di regole che dovrebbero garantire l’“innalzamento del livello qualitativo dei punti gioco” attraverso la presenza di un sistema di videosorveglianza, la formazione del personale addetto che dovrebbe essere in grado di accertare la presenza di giocatori dediti all’azzardo patologico e, eventualmente, di segnalarlo ai servizi sociali o alla questura, il divieto di accesso a soggetti inseriti in programmi di recupero.  Resta però da risolvere il nodo della distanza minima delle famigerate “macchinette” dai luoghi sensibili (come scuole, ospedali, luoghi di culto, centri sportivi, etc.): il Governo ha proposto che i Comuni abbiano facoltà di stabilirla soltanto per le sale di categoria B, non per quelle “ad elevato livello qualitativo” della categoria A. Su questo punto i sindaci sembrano intenzionati a tenere duro e proprio su questa novità risiede la causa principale del mancato accordo.  

Il Governo - attraverso le parole del sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta - assicura di non voler procedere al riordino del settore senza il coinvolgimento della Amministrazioni locali e si dice fiducioso sulle possibilità di raggiungere un’intesa, sottolineando come il valore della proposta risieda in un “evidente e misurabile” riduzione dell’offerta di gioco e di una sua equilibrata distribuzione sul territorio. Da Baretta arriva anche un’ammissione: “Dobbiamo riconoscere un ritardo da parte dello Stato nel controllo del “gioco”. C’è stata una crescita eccessiva e così abbiamo deciso di invertire la tendenza. Il comparto garantisce allo Stato 9 miliardi di entrate ma il gioco non vale la candela se si considera il tema dell’emergenza sociale”. Se il presidente Anci è sembrato soddisfatto dai contenuti complessivi della proposta governativa e ottimista in merito alla possibilità che alla fine si riuscirà a sciogliere anche il nodo delle distanze minime dai luoghi sensibili, il governatore della Puglia, Michele Emiliano, ha minacciato di far saltare tutto senza modifiche importanti alla proposta. Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore al Territorio della Regione Lombardia, Viviana Beccalossi, che si è detta contraria ad una proposta che “annullerebbe i risultati positivi raggiunti grazie alla forte collaborazione con i Comuni della nostra regione”.  

Azzardo di riforma (di Umberto Folena su “Avvenire” del 2 febbraio 2017) 
Alcune luci e molte ombre - a giudizio del giornalista - per ill testo che il Governo si accingeva a portare (l’articolo infatti è stato scritto subito prima) alla Conferenza Stato-Regioni e che, come giustamente si prevedeva, le Amministrazioni locali avrebbero respinto al mittente. Il principale punto di criticità individuato risiedeva nel “potere sottratto ai Comuni”, ovvero nel mettere al riparo le nuove sale da gioco di categoria A - e anche sui criteri della presunta “innalzata qualità” vengono avanzate diverse perplessità - dai paletti dei sindaci impegnati contro le ludopatie. Di fatto a bar e tabacchi verrebbe data la possibilità di creare degli ambienti interamente dedicati al gioco - o all’azzardo, se non si vuole usare il termine edulcorato ricorrente nella proposta del Governo - senza che ai Comuni venga lasciato alcun potere regolamentare - ad esempio sulla distanza minima dai luoghi sensibili - come invece avviene oggi. In altri articoli apparsi sulla stampa le sale di categoria A sono state infatti subito ribattezzate “mini-casinò”.  Della proposta governativa viene dal giornalista sottolineata la contraddizione tra le condivisibili intenzioni generali - quella di “garantire migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute” e il riconoscimento del fatto che l’aumentata offerta di azzardo (sempre però definito in maniera neutra “gioco”) abbia determinato una nuova emergenza sociale che, in assenza di un quadro regolatorio aggiornato, gli Enti locali si sono trovati ad affrontare da soli - e le molte approssimazioni e lacune presenti, o assenti, nel testo. Non vengono ad esempio giudicate sufficientemente affidabili le previsioni fatte dal Governo sulla portata della riduzione del numero di slot machine. La proposta di “innalzamento qualitativo” delle sale di categoria A viene giudicata sostanzialmente aleatoria. Ad esempio: come potrebbe il personale di dette sale “riconoscere” un malato di Gap (Gioco d’azzardo patologico) e quindi impedirne l’accesso o segnalarlo ai servizi sociali, quando non esiste nemmeno uno studio specifico fatto dal Governo sul fenomeno e molte Asl nemmeno comunicano al ministero il numero dei malati in cura? 

Sulla questione del mancato vincolo della distanza minima delle cosiddette sale di categoria A sarebbe lo stesso Governo ad essere consapevole dell’errore commesso, tant’è che viene scritto che in una “imprevista situazione emergenziale” gli Enti locali potranno agire, d’intesa con Polizia e Finanza, “in deroga alle disposizioni previste nell’intesa”. Già l’uso dell’espressione “imprevista emergenza” - sottolinea l’autore dell’articolo - è un controsenso, visto che un’emergenza, se “prevista”, non sarebbe più tale. Il testo, inoltre, glissa completamente sulla questione pubblicità, che un nutrito gruppo di parlamentari e una parte della società civile vorrebbero vietare tout court, limitandosi timidamente ad invocarne la riduzione e rimandando ad un futuro dibattito a livello europeo. Inoltre - altro punto fondamentale - non ci si ammala, o rovina, di sole slot machine: la proposta governativa tace “fragorosamente” su altri tipi di azzardo, come i gratta e vinci, le scommesse sportive e i giochi on line.  A questo punto il rifiuto della proposta così come formulata, da parte degli Enti locali, è stata una previsione tutt’altro che azzardata.  

Ci giochiamo tutto (di Fabrizio Gatti su “L’Espresso” del 5 febbraio 2017) 
Della lunga e interessante inchiesta a firma di Fabrizio Gatti, ci limitiamo a riportare alcuni dati e passaggi che riteniamo possano aiutare ad inquadrare la dimensione del fenomeno azzardo nel nostro Paese.  Nel 2016 è stato battuto ogni record e in Italia si sono spesi nel gioco d’azzardo 95 miliardi di euro: ovvero 7,9 miliardi al mese, 260 milioni al giorno, quasi 11 milioni all’ora, 181 mila euro al minuto. In altre parole: l’equivalente del 4,7 per cento del nostro Pil. Una delle tante osservazioni polemiche sul ruolo dello Stato (il reportage ne è costellato) che consente un tale proliferare del gioco d’azzardo: gli abruzzesi non hanno spazzaneve in numero sufficiente a far fronte alle emergenze, hanno però a disposizione 11.154 slot machine, quindi una ogni 119 abitanti. C’è qualcosa che non funziona visto che sia il numero di spazzaneve che quello di slot machine con i relativi contratti di concessione dipendono da Enti dello Stato. Lo Stato continua a consentire il proliferare del gioco d’azzardo - è la tesi accusatoria di Gatti - favorendo immensamente gli operatori privati, che hanno sedi in paradisi fiscali e sono tassati in maniera estremamente favorevole. Ad esempio, i concessionari delle videolotterie versano il 5,5 per cento (fino al 2011 addirittura il 2 per cento) in tasse. Gli italiani invece spendono il 10 per cento in imposte per elettricità, gas, farmaci e altri generi di prima necessità e addirittura il 22 per cento per l’abbigliamento.  Diverse stime calcolano che circa 800 mila italiani siano malati di ludopatia e un altro milione e 750 mila è considerato a rischio. Il prezzo sociale e sanitario da pagare è altissimo: si sfiorano i 7 miliardi all’anno e, per ogni giocatore patologico grave, il costo a carico dello stato in cure ammonta a 38 mila euro annui. Il gioco d’azzardo colpisce tutti, ma in percentuale maggiore gli strati meno abbienti della società: il 47 per cento degli italiani indigenti e il 56 per cento degli appartenenti al ceto medio basso. Altra categoria preoccupantemente a rischio è quella dei giovani: giocano il 47,1 per cento degli studenti compresi tra i 15 e i 19 anni. E gli adolescenti sarebbero i più esposti a contrarre una dipendenza dal gioco: si calcola che l’8 per cento dei giocatori adolescenti avrebbe già sviluppato comportamenti problematici e un altro 11 per cento sarebbe a rischio, potrebbe cioè superare la soglia della patologia, se lasciato abbandonato a se stesso.  

Secondo quanto ricostruito nell’inchiesta, lo Stato ha iniziato, se non ad incoraggiare, a tollerare la proliferazione delle varie forme di azzardo “legale” a partire dai primi anni duemila, quando si è ritenuto fosse preferibile incrementare le entrate fiscali attraverso le concessioni per il gioco piuttosto che aumentare la tassazione generale. Un vero punto “di non ritorno” ci sarebbe stato nel 2009, quando si è preteso di ricostruire L’Aquila e i danni del terremoto attraverso le imposte sull’azzardo, consentendo un’invasione senza precedenti delle slot machine e l’introduzione delle nuove video lotterie. “Sappiamo come è finita” - chiosa Gatti - “invece della ricostruzione, l’Italia è diventata una disperata sala giochi”. Le 397.000 macchine mangia soldi autorizzate garantiscono ai loro gestori una densità media nazionale di un apparecchio ogni 151 abitanti. Più dei medici, fermi ad uno ogni 250 residenti. Gli italiani sono anche tra i primi sei Paesi al mondo come spesa individuale per il gioco d’azzardo insieme ad Australia, Singapore, Finlandia, Nuova Zelanda e Stati Uniti.  La “ludocrazia” dà lavoro in Italia a 146 mila persone e ha piantato radici in migliaia di famiglie. E’ più gentile anche nel nome: fin dal 2003, nel Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, non si chiama più “gioco d’azzardo” ma “gioco lecito”. E dovunque, accanto al logo rassicurante dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, è scritto: “Gioca senza esagerare”.  Insomma, se poi finisce male, per lo Stato la colpa è dell’individuo. Non della spaventosa offerta di gioco d’azzardo e delle pervasive campagne pubblicitarie per promuoverlo. 

I sindaci martellati dai colossi delle slot: “Vogliono farci ritirare le limitazioni” (di Andrea Giambartolomei su “Il Fatto Quotidiano” del 4 febbraio 2017) 
Secondo l’articolo, mentre si starebbe preparando una legge nazionale per sottrarre i “mini-casinò” alle regole locali e arginare così i provvedimenti anti-slot dei sindaci (l’articolo non è certo tenero sull’operato del Governo), “rappresentanti delle lobby dell’azzardo” starebbero facendo pressioni “ad personam” sugli amministratori locali. A favorire il loro operato sarebbe l’incertezza creata da alcune recenti sentenze della giustizia amministrativa come quella, risalente allo scorso 19 gennaio, con cui i giudici del Consiglio di Stato avrebbero sospeso l’atto con cui il Comune di Torino aveva imposto delle interruzioni nell’orario di funzionamento delle sale slot.  Tramite “rappresentanti di categoria” arrivati direttamente “da Roma”, oppure tramite l’invio di documentazione, si starebbe cercando di mettere in dubbio l’ammissibilità dei provvedimenti presi dai Comuni per contrastare il proliferare delle sale slot, paventando invece il rischio di incorrere in pesanti sanzioni economiche. Tentativi del genere sono stati riferiti dai sindaci di Nichelino e Grugliasco, entrambi in provincia di Torino. “Noi amministratori locali siamo lasciati da soli a combattere la ludopatia, che provoca problemi sociali ed economici, mentre il Governo continua a spingere per la liberalizzazione dell’azzardo”, ha dichiarato Giampiero Tolardo, sindaco di Nichelino.

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