Presentato il Rapporto Montagne 2017: le “terre alte” si candidano come modello di sviluppo sostenibile
di
La Posta del Sindaco
06 Febbraio 2018
E’ giunto alla terza edizione il rapporto annuale curato dalla Fondazione Montagna Italia - costituita da Uncem (Unione nazionale Comuni, Comunità ed Enti montani) e Federbim (Federazione nazionale dei Consorzi di bacino imbrifero montano) –, uno studio che si candida a punto di riferimento per l’analisi delle dinamiche socio-economiche delle cosiddette “terre alte” che, in totale, rappresentano una percentuale più che ragguardevole del territorio italiano: il 35,2%. Tra gli intenti dichiarati del Rapporto c’è quello di offrire una rappresentazione della montagna italiana che ne metta in evidenza il carattere plurale, concentrandosi quindi sulle diversità pur nel quadro di una lettura d’insieme. Sicuramente viene con forza rispedita al mittente la “dicotomia marginalità-eroismo in cui si colloca tradizionalmente la visione della montagna” a favore, invece, di un approccio che colloca la montagna al centro dell’orizzonte di un Paese che voglia uscire dalla crisi “ridisegnando in termini sostenibili il proprio modello di sviluppo”.
Dall’edizione 2017 emerge la fotografia di una montagna in crescita, sia dal punto di vista del Pil che da quello delle opportunità di sviluppo che i recenti provvedimenti legislativi riservano a comunità e territori. Tra i dati confortanti che riguardano l’economia e il contrasto del rischio, sempre attuale, dello spopolamento il numero consistente di giovani che tornano (o non se ne vanno via) per dedicarsi alle attività tradizionali del settore primario, la presenza sempre maggiore di migranti, il segmento dell’offerta turistica in aumento. L’economia dell’arco alpino può poi vantarsi di essere percentualmente più “rosa” di quella nazionale: il 45,6% contro una media nazionale di occupazione femminile del 41,8%.
E veniamo ai dati che riguardano l’ambiente: i Comuni montani sono in prima linea per la “decarbonizzazione” dell’economia. Sono infatti 1.588 quelli che hanno aderito al Patto dei Sindaci che impegna i Comuni europei alla realizzazione dei PAES: i Piani di Azione per l’Energia Sostenibile. Il 20,5% dei Comuni montani sono interessati da attività di produzione di energia da fonte idroelettrica, e Piemonte e Lombardia si segnalano per il maggior contributo nel settore. Mentre per le altre fonti rinnovabili – eolico, bio-energie e geotermico – sono gli Appennini a primeggiare sulle Alpi e, in particolare, Puglia e Basilicata con circa la metà dei propri Comuni montani interessati da questi impianti. Anche nella gestione dei rifiuti i Comuni montani si distinguono per virtuosità, con una produzione media di rifiuti pro-capite, sia differenziati che indifferenziati, sensibilmente più bassa di quella nazionale.
Il rapporto si sofferma poi su un aspetto che, se implementato come da norma di legge, potrebbe rappresentare una spinta molto importante per l’economia della montagna: il pagamento dei servizi ecosistemici e ambientali (PSEA). I servizi ecosistemici sono definiti, a livello internazionale, come quei “benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano” e riguardano una molteplicità di casi. Ad esempio: l’approvvigionamento idrico e la purificazione dell’aria, il riciclo naturale dei rifiuti, la formazione del suolo, la manutenzione dei versanti, l’impollinazione e molti altri meccanismi regolatori naturali. Ma anche la fissazione del carbonio delle foreste di proprietà demaniale e collettiva, la regimazione delle acque nei bacini montani, la salvaguardia della biodiversità e delle qualità paesaggistiche e l’utilizzazione di proprietà demaniali e collettive per produzioni energetiche. Il valore di questi beni è stato calcolato, a livello nazionale, in 90 miliardi di euro all’anno, due terzi dei quali circa prodotti in aree montane. Esempi di pagamento dei servizi ecosistemici, a livello mondiale, non mancano e forme di PSEA, a vantaggio di privati o di amministrazioni pubbliche (in primis Comuni e Unioni), sono state espressamente previste dall’articolo 70 della legge 28 dicembre 2015, numero 221. Alla legge non hanno però fatto seguito i previsti decreti attuativi, né risulta che ci siano mai ancora state forme di compensazione di questo genere nel nostro Paese.
Anche per questo motivo l’Uncem insiste perché si ponga rimedio a questa lacuna: «Introdurre dei sistemi di PSEA – spiega il presidente nazionale Uncem, Enrico Borghi – significa remunerare economicamente chi, attraverso le proprie attività, contribuisce alla tutela dell’ecosistema o dell’ambiente: ad esempio un imprenditore agricolo, che protegga o tuteli la natura, attraverso interventi di conservazione del territorio, o un Comune, che assegni diritti di proprietà o di sfruttamento di un bene naturalistico di interesse comune portando così alla tutela di quel bene».
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