La Rivista del Sindaco


A ROMA INVESTIMENTI PUBBLICI IN CALO DEL 20%

Territorio e governo locale
di La Posta del Sindaco
19 Ottobre 2017

l grosso della spesa pubblica va in stipendi. Persi 1,2 miliardi di investimenti in 10 anni

Roma non investe più e le aziende pubbliche sono solo stipendifici (di Daniele Autieri su “la Repubblica - Roma” del 19 ottobre 2017)
I due miliardi di euro partoriti dal Tavolo su Roma voluto dal ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda saranno sempre meglio di niente, ma sembrano drammaticamente insufficienti per colmare il ritardo di una città che sembra non investire più “non solo nel futuro, ma anche sul presente”. L’articolo di Daniele Autieri ci è sembrato interessante perché l’ormai consueto refrain sul declino inarrestabile della capitale viene supportato da una serie di dati molto eloquenti. A partire da quello che ci dice che la parte pubblica dell’economia (amministrazioni e imprese pubbliche, centrali e locali) a Roma ha ridotto gli investimenti del 20%. All’economia della regione Lazio, e quindi soprattutto a quella della capitale, dal 2005 mancano all’appello circa 1,2 miliardi di euro. Per l’esattezza, stando ad una elaborazione fatta dall’Agenzia per la Coesione Territoriale, gli investimenti pubblici nel Lazio sono passati dai 6,2 miliardi del 2005 ai 5 del 2015. Un crollo che ci dice come non sia stato soltanto il settore provato - accusato di abbandonare la capitale per Milano - ma anche quello pubblico ad aver smesso di scommettere su Roma. Se il dato viene tradotto in spesa pro capite in conto capitale (quella per investimenti), si scopre che nel Lazio questa si è ridotta a 1.149 euro, quasi la metà rispetto ai 2.000 del 2012 e meno di un terzo degli attuali 3.791 euro della Valle d’Aosta, la regione dove la spesa pro capite per investimenti è la più alta d’Italia. Il dato si fa ancora più misero se si va a vedere quanto destinano alla spesa produttiva nel loro insieme le società controllate dal Comune di Roma: “la frontiera più avanzata di un rigore strampalato, che ha tagliato gli investimenti senza toccare gli sprechi”, come sintetizza efficacemente l’articolo. Una quota risibile pari ad appena il 10% dell’intero fatturato - secondo i dati ufficiali dell’Agenzia per la Coesione Territoriale - che da sola “spiega l’incapacità delle aziende locali di diventare produttive e di pensare politiche industriali di crescita e sviluppo”. Andando più nello specifico, si vede come sia la “spesa rigida” quella a pesare di più. L’Atac - l’azienda comunale di trasporto, secondo molti già tecnicamente fallita da tempo - spende per investimenti il 2,4% del fatturato contro il 48.4% destinato a stipendi per il personale; Aequa Roma (l’azienda di riscossione delle imposte locali) destina lo 0% in investimenti e il 63,8% al personale; Zetema (il “braccio culturale” del Campidoglio) fa un po’ “meglio”: lo 0,1% in investimenti e il 52,7% in stipendi. Meglio di tutti Risorse per Roma, l’in house che gestisce il patrimonio immobiliare del Comune: 0% in investimenti contro il 75,4% del proprio fatturato per il personale.  Una fotografia allarmante non soltanto del punto di vista dei servizi, carenti e inadeguati soprattutto in proporzione al peso fiscale sostenuto dai cittadini, ma anche per via dell’impatto economico generale di queste inefficienze. Secondo i dati in possesso del ministero per lo Sviluppo economico, le società partecipate dal Comune produrrebbero il 40% del valore aggiunto totale del tessuto produttivo romano: un ruolo enorme e un dato allarmante visto che ci dice che il futuro e il benessere della città sono legati a filo doppio anche a quello di aziende strutturalmente deficitarie come l’Atac o l’Ama (l’azienda che cura la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti). I due miliardi appena stanziati per Roma - dei quali tutti si dicono soddisfatti, per una volta in maniera “bipartisan” - appaiono briciole (non basterebbero neanche per una sola linea della metropolitana) rispetto alle diverse centinaia di miliardi di euro messi a bilancio per lo sviluppo di Londra fino al 2050, o agli oltre 25 miliardi destinati alla Grand Paris (l’area metropolitana della capitale francese). «Esperienze lontane anni luce dalla realtà romana, dove è stato tagliato tutto tranne gli sprechi, nella convinzione che - come scriveva Oscar Wilde - “niente è più necessario del superfluo”.


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