I rischi posti dall'esito del referendum in Veneto e Lombardia nell'analisi di un insigne giurista
Si parte dal fisco ma non si sa dove si finisce (di Sabino Cassese su “L’Economia del Corriere della Sera” del 30 0tt0bre 2017)
Se l’esito dei referendum che hanno interessato le regioni del Veneto e della Lombardia era abbastanza scontato, anche per via della natura facilmente condivisibile dei quesiti posti, adesso occorre fare molta attenzione a cosa accadrà dopo, nella trattativa tra le Regioni e lo Stato. Questa è la tesi dell’articolo che abbiamo scelto, a firma del giurista, e giudice emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese. I problemi, intanto, inizieranno a partire dalle materie da includere nella richiesta di maggiore autonomia. Questo è il vero punto - che peraltro non è stato oggetto dei referendum - sul quale decidere. L’elenco delle competenze in teoria oggetto di trattativa è molto vasto e occorrerebbe valutare molto bene quanto sia sensato che alle Regioni venga data maggiore, o completa, autonomia su alcune materie. Cassese ne elenca alcune: è sensato che abbiano ulteriore autonomia in materia di rapporti internazionali? E’ preferibile che ogni regione abbia una sua rete di trasporto e comunicazione, compresa quella dell’energia elettrica? E il controllo del credito, che si sta cercando di delegare sempre di più all’Unione bancaria europea (compreso quello di enti a dimensione regionale), è possibile che vada ampliato in favore di autorità di controllo regionali? E davvero è saggio che sui beni culturali, che sono un patrimonio nazionale, invece che dell’intervento statale siano preferibili ulteriori competenze regionali? A questi interrogativi retorici, Cassese ne aggiunge un altro che sottende tutti gli altri: è utile accentuare la diversificazione territoriale in uno Stato che presenta già profondo divari e che, nonostante gli sforzi fatti, non è riuscito a colmare in più di centocinquanta anni di storia unitaria? C’è poi un secondo ordine di problemi da considerare, quello delle maggiori risorse da destinare alle Regioni in caso di trasferimento di maggiore autonomia. Peraltro il tema delle tasse da trattenere sul territorio dove sono state versate è probabilmente “il” tema presente al centro del tavolo. Anche a voler seguire il ragionamento di Veneto e Lombardia - concede Cassese - fondato sul concetto di “residuo fiscale positivo”, occorre rifare bene i calcoli: ad esempio, «nel mettere a raffronto imposte percepite e spese erogate nella regione, bisogna calcolare solo la spesa regionale, non anche quella dello Stato e di altri enti pubblici?». Il terzo e ultimo problema - ci ricorda il giurista - è quello del tasso di differenziazione ammissibile tra zone diverse di un territorio che fa parte di una nazione unitaria. Anche se la rivendicazione fatta dal governatore del Veneto subito all’indomani della consultazione - lo statuto speciale - sembra essere per il momento rientrata, occorre innanzitutto affermare come siano oramai decadute le motivazioni di carattere storico che a suo tempo portarono alla concessione dell’autonomia speciale alle cinque Regioni attualmente a statuto speciale. Le ragioni d’essere infatti sarebbero, ad opinione di Cassese, in gran parte venute meno dopo quasi mezzo secolo di esperienza di uno Stato a struttura regionale. Inoltre, questo l’interrogativo con cui chiude il suo articolo e che si augura venga preso in considerazione nelle trattative post-referendum: «E’ possibile, ora, e in quale misura, introdurre differenziazioni governate dal centro, modificando il riparto di competenze Stato-Regioni, per singole Regioni, anche se classificate tra quelle “virtuose”? Quale è il punto di non ritorno di uno Stato unitario, dove si ferma la necessaria solidarietà tra regioni ricche e regioni povere, dove iniziano a perdere anche le regioni ricche se le regioni povere si impoveriscono ancora di più»?