La Rivista del Sindaco


Taglio dei parlamentari, quanto si risparmia?

Approfondimenti
di La Posta del Sindaco
13 Febbraio 2020

Dopo tanto clamore e pubblicità, il 29 marzo gli italiani andranno alle urne, per decidere se confermare o meno il taglio dei parlamentari approvato in parlamento lo scorso ottobre. Punto fermo del programma del M5S, saranno gli italiani ad esprimersi con un referendum riguardo questa riforma costituzionale, per cui si prevede già una conferma popolare. In seguito alla riforma il numero dei senatori passerà da 315 a 200, mentre quello dei deputati da 630 a 400, con un risparmio previsto per le casse dello stato (e quindi per gli italiani) di circa 100 milioni.

Questo risparmio sarà ancora sulla bocca di tutti i 5 Stelle, che parlano (come hanno parlato e parleranno) di beneficio, mentre gli osteggiatori della riforma tentano di evidenziare quanto tale cifra sia in realtà esigua e di poca utilità nell’economia generale, ma sia stata usata solo come specchietto delle allodole per ottenere consenso tra la popolazione.
Che lo Stato italiano abbia troppo ingrandito il suo
apparato pubblico è evidente a tutti, come a tutti è chiaro che sia necessario snellire tale apparato, anche solo per migliorarne la funzionalità, perché come in tutti i campi, il troppo non è mai un bene. Eppure, bisogna portare all’attenzione che la maggior parte di spese e sprechi non deriva dalle Camere, quanto nella fitta rete di aziende, enti e privilegi all’apparenza indissolubili legati allo Stato centrale, quanto alle Regioni e agli enti locali. A questi si aggiungono le imprese pubbliche, legate a una specifica mentalità dirigenziale che si vuole riportare in scena, senza nominarne mai i costi (alti) che comporterebbe per il sistema imprenditoriale nazionale.

In quest’ottica, la riduzione del numero dei parlamentari rimane certo una riforma costituzionale di un certo peso, ma sarebbe stato più saggio e ben fatto rimaneggiare la riforma complessiva del dettato costituzionale, come già proposto dal governo Renzi nel 2016, e sulla quale si sprecarono promesse di non accantonarla anche in caso di bocciatura del referendum ad esso relativo. Invece, bocciato il referendum, tutto cadde nel dimenticatoio: niente ritocchi alla costituzione, niente interventi di correzione del biparlamentarismo, niente misure atte a chiarire i poteri di Stato e Regioni, per evitare che si sovrappongano (portando a continui rallentamenti, sprechi e confusioni). Nel portare avanti questa sacra battaglia per la riduzione dei parlamentari, non si è fatto il minimo accenno a ridiscutere l’intera disciplina costituzionale, maggior fonte di tutti i costi e sprechi a cui il nostro Stato è soggetto. Basta pensare che su questa si poggiano anche i reali effetti di stabilità o instabilità politica che sono attribuiti ai sistemi elettorali. Un’altra ottima occasione persa di fare non solo un timido (ma esteticamente appariscente) passo in avanti ma effettuare una presa di posizione, riguardo uno degli aspetti che hanno più bisogno di revisione e rinnovamento.


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