Nell’articolo del giornalista del Corriere la classifica dei Comuni in base alla spesa e ai servizi offerti
Comuni, ecco chi spende peggio (di Sergio Rizzo sul “Corriere della Sera” del 23 febbraio 2017)
La spesa dei Comuni capoluogo italiani si può dividere in quattro diversi gruppi, solo uno dei quali - a conti fatti - si può considerare realmente virtuoso. Il Comune di Roma, come pressoché sempre accade negli articoli del giornalista (a onor del vero, non soltanto nei suoi), ne esce davvero molto male, segnalandosi come uno che spende molto, male, e a fronte di servizi scadenti offerti al cittadino. Rizzo cita un dossier realizzato dall’ufficio studi di Confartigianato che avrebbe analizzato i dati (anno 2013) della spesa effettiva dei Comuni capoluogo italiani in rapporto a quella che invece dovrebbe essere la spesa reale, sulla base del “fabbisogno standard” dei Comuni. Il fabbisogno è calcolato - scrive Rizzo - prendendo in considerazione una serie di parametri oggettivi, dalle dimensioni del Comune (territorio e popolazione) al livello dei servizi pubblici erogati. Nel gruppo dei “cattivi”, ci sono 23 Comuni - il 20% del totale che però assorbono il 30% della spesa comunale complessiva - cosiddetti “inefficienti”, che offrono meno servizi della media, e di cattiva qualità, ma costano di più dei loro “fabbisogni standard”. Il peggiore, in termini percentuali, sarebbe Caserta, che spende il 40,9% in più di quanto dovrebbe, seguito da Reggio Calabria (40,5%) e Rieti (39,5%), Potenza (24%), Siena (20,2%). Ma a spiccare su tutti in questo gruppo è Roma, che spende sì “soltanto” il 18,3% in più in termini percentuali, ma si distingue per l’entità della spesa “ingiustificata”: 584 milioni e 688 mila euro. Nel gruppo dei Comuni “efficienti” - gli unici che possono essere definiti tali nei quattro gruppi della classifica stilata da Confartigianato - che quindi costano meno del loro fabbisogno e, nello stesso tempo, offrono più servizi e migliori della media ce ne sono soltanto 21 - meno di un quinto del totale - e tra i miglior piazzati ecco Vicenza (- 28,9%), Ascoli Piceno (- 15,2%), Monza (- 13%), Bergamo (- 12,1%), Verona (- 10,2%), Verbania (- 9,8%).
Milano - eterna trionfatrice sulla derelitta capitale - pur costando “soltanto l’8,8% in meno in termini percentuali, spicca però per l’entità della spesa “risparmiata: 139 milioni e 760 mila euro. Unico Comune del Sud a figurare tra gli efficienti è Andria, con un meno 4,2%. Ci sono poi gli altri due gruppi. Un gruppo di 24 Comuni - con una netta prevalenza di città del Mezzogiorno - che costano meno del fabbisogno standard però offrono anche servizi in numero limitato e di qualità al di sotto della media. Napoli, che appartiene a questo gruppo, ad esempio costa ben 135 milioni in meno di quanto sarebbe il suo fabbisogno. Del gruppo fanno parte i Comuni di Campobasso, Bari, Barletta, Matera, Teramo, Pescara, Crotone e Cosenza. L’ultimo gruppo, sempre di 24 Comuni e in prevalenza del Centro-Nord, è quello di chi spende più del fabbisogno standard però, almeno, offre più servizi della media. Qui troviamo i Comuni di Venezia, Pisa, Piacenza, Mantova, Ferrara, Forlì, Brescia, Asti, Lecco, Perugia, Lodi e Padova e anche - a titolo di eccezione - i Comuni meridionali di Brindisi e Salerno. A scorrere il nome dei Comuni citati in tutti i quattro gruppi, viene il dubbio che dal dossier di Confartigianato siano rimasti fuori i Comuni delle Regioni a statuto speciale, ma questo l’articolo non lo specifica. Sulla qualità complessiva della spesa, il dossier argomenta che nei Comuni continuerebbero a salire le “spese per la burocrazia” (+ 3,9% nel 2016) e a calare invece quelle per il settore sociale (- 6,6%), l’ambiente (- 1,4%) e l’istruzione (- 0,8%). Tutto questo a fronte di una crescita delle tariffe locali salite, negli ultimi cinque anni, del 15,9%. Vale a dire quattro volte l’inflazione.