Le Province, “risparmiate” dall’esito referendario, sono di nuovo balzate agli onori delle cronache. Allarme da Nord a Sud per la situazione finanziaria degli Enti
Sono molti i quotidiani ad aver dedicato negli ultimi giorni spazio alla questione Province. Se ne è tornato a parlare perché la loro prevista cancellazione è stata bocciata dagli elettori così come il resto della riforma costituzionale e perché la legge Delrio, che le ha pesantemente ridimensionate, alla luce dell’esito referendario appare quanto meno scarsamente congruente in quei passaggi in cui dava per acquisito ex ante un risultato che invece non si è verificato. Ma proprio la loro mancata soppressione ha ridato vigore al grido di allarme lanciato dai tanti sindaci-presidenti di Provincia che lamentano una situazione finanziariamente insostenibile a causa dei tagli al trasferimento di risorse di questi ultimi anni e alla drastica riduzione del personale subita. Tant’è che, da Nord a Sud della penisola, si parla di un concreto rischio bancarotta e dell’impossibilità di continuare ad assicurare gli importanti servizi che sono comunque rimasti nella competenza delle Province. Tra i tanti articoli apparsi, ne segnaliamo due presi da “Il Fatto Quotidiano”.
Province in rosso: tagli, debiti (e crepe) delle “sopravvissute” (di Virginia Della Sala su “Il Fatto Quotidiano” del 15 dicembre 2016)Negli ultimi anni le Province hanno subito tagli sempre crescenti: pesanti a partire dal 2010 (governo Berlusconi), pesantissimi dal 2012 (governo Monti) e parossistici con l’ultimo governo Renzi, 3 miliardi in tre anni (dal 2015 al 2017). Il presidente facente funzioni (il titolare è agli arresti, ma per questioni riguardanti il Comune del quale era sindaco) di Caserta, Silvio Lavornia, ha spiegato che nel 2017 la maggior parte delle scuole che dipendono dalla Provincia potrebbe dover essere chiusa. Per mancanza dei fondi necessari a garantire i servizi essenziali. Caserta, provincia di 104 Comuni e 900 mila abitanti, è una delle tre ad aver dichiarato il dissesto finanziario, insieme a Vibo valentia e a Biella. Passivo di 26 milioni, tagli subiti per 42 milioni (tra il 2015 e il 2016), e tutte le entrate usate dai commissari liquidatori per pagare i mutui. “Un bilancio che non si riuscirà a riequilibrare neanche in 30 anni”, chiosa Lavornia. Vibo Valentia il dissesto lo ha dichiarato fin dal 2011. Entrate passate da 20 milioni di euro a 2,8. Debiti superiori a 50 milioni di euro ed entrate attuali neanche necessarie a coprire i costi del personale. “Abbiamo 900 km di strade distrutte e nelle scuole non riusciamo ad accendere i riscaldamenti” dichiara il presidente Andrea Niglia.
A riassumere quanto successo nelle Province in conseguenza della legge Delrio è il presidente dell’Upi e della Provincia di Vicenza, Achille Variati: “Alle Province è rimasta la gestione di funzioni fondamentali - 100 mila km di strade, 5 mila scuole (un bacino di 2,5 milioni di alunni), più un bel pezzo della manutenzione ordinaria del territorio - il tutto da assicurare con la metà del personale precedente e con finanziamenti statali passati dagli 11 miliardi del 2011, ai 6,4 del 2013 che si ridurranno ulteriormente a 3,4 nel 2017”. Il che equivale a dire che lo Stato con le Province addirittura ci guadagnerà, visto che le entrate proprie su cui gli Enti hanno in passato potuto contare - un’imposta sulla Rc Auto, una sui passaggi di proprietà e un tributo sui servizi ambientali - si sono sempre aggirate tra i 4 e i 5 miliardi. Inoltre, l’obbligo di redigere bilanci annuali senza la possibilità di “spalmare” le spese, non consente alcuna programmazione. Anche se il fondo di 960 milioni per gli Enti locali, previsto dalla Finanziaria, dovesse essere interamente assegnato alle Province, ci sarebbe comunque un disavanzo di 430 milioni.
Il senso dello stato di emergenza in cui versa la stragrande maggioranza delle Province italiane è dato anche dal “paradosso” rappresentato da Biella, una delle tre attualmente in dissesto, e dalle altre Province piemontesi. Biella forse riuscirà a “rimettersi in carreggiata” nel 2017: infatti, essendo in dissesto da prima della legge Delrio, ha evitato i tagli draconiani degli ultimi anni. Mentre invece tutte le altre piemontesi - con l’eccezione di Cuneo (ammesso che il governo le trasferisca i soldi per le alluvioni subite) - sono in situazione di pre-dissesto, o quasi, e a forte rischio di non riuscire a chiudere il bilancio per il 2017. Dichiara Emanuele Ramella Pralungo - presidente della Provincia di Biella - “Calcolare i tagli basandosi sulle funzioni fondamentali va bene, ma è assurdo che lo spalamento delle strade dalla neve non rientri tra queste. Gestisco una Provincia con appena 94 dipendenti - contro i forse troppi 280 degli anni d’oro - e nel frattempo sono state introdotte norme assurde come l’omicidio stradale”. In sintesi - conclude l’articolo - le Province non hanno i soldi per assicurare la manutenzione delle strade di loro pertinenza. Se però qualcuno dovesse avere un incidente fatale su una dissestata strada provinciale, la Procura aprirebbe un’indagine per omicidio stradale a carico del dirigente provinciale.
Il buco nella legge Delrio Ora pioveranno ricorsi (di Marco Palombi da “Il Fatto Quotidiano del 15 dicembre 2016)
Secondo il giornalista del Fatto (e come abbiamo già visto, non solo secondo lui) la legge Delrio - che ha trasformato le Province in Enti di secondo livello, abolendo le elezioni e “incasinando la ripartizione delle competenze tra Regioni ed Enti locali” - è destinata ad essere oggetto di nuovi ricorsi e ad andare incontro all’ennesima bocciatura da parte della Consulta. La responsabilità, a parere di Palombi, risiede in una sorta di peccato originale che ha caratterizzato il modus operandi dell’attuale legislatura: “siccome le riforme costituzionali erano considerate una specie di ‘imperativo categorico’ imposto al Parlamento dall’ex Presidente Napolitano, le Camere hanno legiferato ‘a babbo morto’, per quando la nuova Costituzione sarebbe entrata in vigore”. Come sappiamo, però, le cose sono poi andate diversamente. Una vittima designata prossima ventura sarà con ogni probabilità la riforma elettorale, il cosiddetto “Italicum”, che non si applica anche al Senato - visto che non sarebbe dovuto più essere eletto dai cittadini - e che ci si aspetta venga fatta a pezzi dalla Corte costituzionale. Stesso metodo e stesso fallimento - sostiene il giornalista del Fatto - anche per la riforma della Pubblica amministrazione a firma Madia: visto che la abortita riforma costituzionale avrebbe riportato parecchie competenza nella potestà esclusiva dello Stato, la Madia contemplava soltanto il parere (non vincolante) della conferenza Stato-Regioni su molte questioni. Ma la Consulta ha poi ricordato come invece non basti un “semplice” parere, ma bensì l’intesa con le Regioni.
E un destino simile probabilmente attenderà la riforma delle Province. La Delrio - scrive Palombi - è stata approvata sotto forma di maxi emendamento con la fiducia: un articolo unico con 151 commi. Al comma 51 si iniziano a riformare le Province sotto quello che può essere considerato un auspicio con forza di legge: “In attesa della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione, le Province sono disciplinate dalla presente legge”. Solo che l’attesa si è fatta ora “messianica”, mentre i problemi delle Province - come riportato nell’articolo precedente - sono urgenti e immediati. Nel 2015 la Corte costituzionale ha bocciato i ricorsi contro la legge presentati da alcune Regioni. Andrebbe ancora così oggi - si chiede il giornalista - con quel comma 51: ovvero la legislazione nell’attesa di una riforma che mai entrerà in vigore?