Si è appena conclusa una due giorni di lavoro tenutasi a Lucca in cui l’Unione delle Province d’Italia (Upi), rappresentanti di tutte le Province del Paese e alcuni tra i massimi dirigenti (provenienti, tra l’altro, dai ministeri dell’Economia e dell’Interno, dalla Corte dei conti e dalla Cassa depositi e prestiti) ed esperti di finanza locale si sono confrontati con l’obiettivo, così si legge in una nota dell’unione, di “analizzare la situazione di crisi finanziaria delle Province per trovare risposte che consentano a queste istituzioni di riprendere a garantire servizi essenziali efficienti e investimenti per la messa in sicurezza dei 130 mila chilometri si strade provinciali e delle 5.100 scuole superiori”. Scampato il rischio di essere definitivamente cancellate dalla Carta costituzionale, le Province tornano a fare sentire con rinnovata forza (e autorità) la propria voce, anche perché certamente non si può ancora considerare chiusa la fase emergenziale. «Le Province – come ha ricordato il direttore generale dell’Upi, Piero Antonelli – hanno subito tagli che in molte realtà hanno rappresentato oltre l’80% delle entrate. Questo ha di fatto messo queste istituzioni nell’impossibilità di assicurare servizi efficienti». Una situazione che, dopo i tanti allarmi lanciati è ora stata riconosciuta anche dal Governo che - oltre ad aver azzerato con l’ultima legge di bilancio la Finanziaria del 2015 che aveva determinato il “dissanguamento” delle Province – ha appena dato l’avvio ad un tavolo di confronto tra Upi e Ragioneria generale dello Stato per cercare di venire a capo del problema delle risorse insufficienti. Una situazione che, ad esempio, per quanto riguarda la Provincia di Lucca, si può riassumere in un taglio subito di 42 milioni di euro a fronte di un trasferimento di soli 19 milioni, cifra considerata del tutto insufficiente a far fronte alle spese generate dalla manutenzione dei 650 km circa della rete stradale e delle 45 scuole superiori di competenza. Ma se si allarga lo sguardo alle Province della regione Toscana, si scopre una situazione del tutto analoga: a fronte di 275 milioni di tagli, sono arrivati contributi per 149 milioni. I 126 milioni in meno non consentono di far fronte alla gestione di strade e scuole e, con l’eccezione della sola Prato, tutte le altre Province toscane non sono riuscite ad approvare il bilancio di previsione. Questo per limitarsi agli Enti del territorio che ha ospitato il seminario.
A parte le rivendicazioni per far fronte all’emergenza finanziaria, l’Upi ha presentato nell'occasione anche un
“Documento di proposte istituzionali delle Province” con l’auspicio che queste possano venire prese in considerazione nella Legislatura che si è appena aperta. Di seguito proviamo a presentare alcuni dei punti salienti contenuti nel documento.
L’Upi chiede il consolidamento e l’ampliamento delle funzioni delle Province, in particolare di quelle che la Riforma Delrio ha lasciato nell’indeterminatezza o ha delegato alle Regioni con il risultato che, nella maggior parte dei casi, si è assistito ad un rafforzamento della centralità regionale. Le Province chiedono più spazio per le funzioni ambientali, di pianificazione strategica dello sviluppo locale e di governo del territorio. Vogliono che tra le funzioni espressamente riconosciute come fondamentali, anche delle Città metropolitane, ci siano quelle di supporto e assistenza ai Comuni, di Stazioni uniche appaltanti e di regolazione dei servizi pubblici locali. Le funzioni attualmente attribuite agli Ato, o quelle più in generale di area vasta, devono tornare di competenza esclusiva provinciale e metropolitana, per evitare sovrapposizioni e frammentazione amministrativa. Vanno poi garantite – in maniera strutturale e non, appunto, “emergenziale” – adeguate risorse finanziarie. Occorre ricreare una nuova “autonomia finanziaria di entrata e di spesa”, fondata su un sistema certo di tributi propri e compartecipazioni a fondi perequativi in grado di garantire l’integrale copertura delle funzioni esercitate. Va poi ridata alle Province la possibilità di programmare spese di investimento, in sinergia con i Comuni (soprattutto medi e piccoli). E da questo punto di vista, dopo gli abissi toccati negli anni recenti – secondo il “Sole 24 Ore” tra il 2008 e il 2017 la spesa in conto capitale delle Province è “crollata” di oltre il 63% - nei primi tre mesi di quest’anno si è registrato un aumento delle spese per investimento di circa il 10%.
Ma le Province puntano ancora più in alto, e chiedono anche una revisione del sistema elettorale e degli organi di governo. Non si parla, ovviamente, sic et simpliciter di un ripristino della situazione ante Delrio, bensì si chiede al nuovo futuro Governo e al Parlamento di riflettere su quali organi e quale sistema di elezione siano più idonei a “dare un assetto certo alle Province nel loro rapporto con i Comuni del territorio”. Si sottolinea anche come l’attuale assetto non garantisca la rappresentanza di tutto il territorio e una durata stabile – per tutti i cinque anni del mandato – degli organi esecutivi delle Province. Ultimo punto del documento che segnaliamo, ma non certo per importanza, riguarda la proposta di riforma dell’attuale Testo unico degli enti locali per arrivare invece ad una auspicata nuova “Carta delle autonomie locali”. Secondo l’Upi va definita una normativa statale sugli Enti locali coerente con i principi e le disposizioni della Costituzione e della Carta europea delle Autonomie locali e che, inoltre, tenga conto delle novità introdotte dalla legislazione degli ultimi anni in materia di Comuni, Province e Città metropolitane che superi il carattere “incompiuto ed emergenziale” dell’attuale quadro normativo.