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E’ DAVVERO MEGLIO DI QUELLO CHE SEMBRA?

Qualità della PA
di La Posta del Sindaco
19 Dicembre 2017

Arriva il 1° rapporto sul SSN realizzato da Eurispes e Fondazione Enpam: la sanità pubblica italiana sarebbe una delle migliori al mondo

La Fondazione Enpam, principale ente di previdenza ed assistenza dei medici italiani, e l’Eurispes, istituto di studi politici, economici e sociali fondato nel 1982, hanno costituito lo scorso gennaio un osservatorio permanente su salute, previdenza e legalità con a capo l’ex procuratore generale della Repubblica Vincenzo Macrì. L’obiettivo principale era quello di far emergere gli aspetti più significativi dei fenomeni connessi alla legalità e alla sicurezza in ambito previdenziale e sanitario. A un anno dalla sua costituzione, è arrivato il 1° Rapporto sul sistema sanitario nazionale, un lavoro che ha l’ambizione di riportare una serie di dati -  per ottenere i quali si è ricorso ad una grande quantità di fonti, molte delle quali di matrice internazionale - senza però cedere alla tentazione di avventurarsi in “forzature interpretative”. Il ritratto complessivo del SSN che ne esce è piuttosto sorprendente perché, pur tra le diverse difformità e gli squilibri anche molto marcati, ci viene detto come in Italia il bene salute sia ancora accettabilmente garantito. Anzi, proprio dal confronto internazionale, il nostro sistema sanitario continuerebbe a piazzarsi tra le prime posizioni al mondo. Va però tenuto presente, come specifica il presidente di Eurispes Gian Maria Fara, che il nostro “è un sistema sanitario per il quale è difficile esprimere una valutazione univoca, in grado di comprendere in sé le molte carenze come pure le molte eccellenze”. I dati riguardanti il sistema italiano sono, nel rapporto, costantemente confrontati con quelli degli altri sistemi europei e il risultato è «un quadro che apparirà sorprendente a chi ritiene, sulla base dell’informazione pubblica e di quella del web, che la situazione italiana sia decisamente peggiore delle altre per l’inefficienza, gli sprechi, le carenze organizzative, l’assenteismo, le prassi corruttive, che ne caratterizzano l’attività. E invece - sostiene Vincenzo Macrì - non è così». Di seguito riporteremo alcuni degli aspetti che riguardano il nostro sistema sanitario nazionale, soprattutto in rapporto a quello di altri Paesi europei. Un primo dato ci dice che l’Italia investe nel proprio sistema sanitario una quota della spesa pubblica complessiva (il 14,1%) minore rispetto a quella della media europea di circa un 1% anche se, facendo il raffronto con il Paese che investe la percentuale di spesa pubblica più alto di tutti gli altri - l’Irlanda con il 19,3% - si scopre però che quest’ultima equivale al 5,7% del Pil irlandese, mentre l’Italia spende una cifra pario al 7% del proprio prodotto interno lordo. Cipro è invece il paese che spende di meno per la sanità, con soltanto il 2,6% del proprio Pil. Pur in presenza di un numero di operatori del comparto sanità assolutamente rilevante - circa 1.800.000 addetti nel 2015 - si assiste ad una prima contraddizione, perché il rapporto evidenzia come ci sia un problema di insufficienza degli organici, di precariato e di forte invecchiamento del personale che, soprattutto in alcune aree come quella della medicina generale (medici di base e pediatri) rischia di creare nei prossimi anni dei vuoti incolmabili. Ad esempio, il comparto dei medici di base nel 2012 assorbiva circa 45.000 unità e si calcola che, entro il 2023, circa 22.000 di questi andranno in pensione a fronte di un ingresso di non più di 6.000 nuovi medici. Nel prossimo decennio, quindi, ci si aspetta che circa un terzo degli italiani non potrà avvalersi del medico di famiglia. I servizi ospedalieri assorbono il 44,4% degli addetti e, un 18% di questi è impiegato per mansioni diverse da quelle sanitarie. Questo dato farebbe pensare ad un livello eccessivo di burocratizzazione della macchina sanitaria. L’incidenza del personale precario è diffusa soprattutto nelle Regioni che hanno dei piani di rientro in corso e sono quindi costrette a rinunciare al turn over del personale. L’Italia è inoltre uno degli stati europei con la percentuale più bassa di dentisti che operano nella sanità pubblica e, di conseguenza, le cure dentarie sono quasi integralmente a carico delle famiglie e incidono fortemente sulla spesa sanitaria totale di queste. 

 

Il rapporto analizza a fondo i fenomeni corruttivi e degli sprechi, dei quali spesso si occupano le cronache, e il dato che sorprende è che non saremmo in presenza di una peculiarità solo o, prevalentemente, italiana. Anzi, il nostro Paese sarebbe perfettamente nella media dei Paesi sia Ocse che Ue. Detto questo, l’incidenza sulla spesa sanitaria annua (pari a 113 miliardi) dei fenomeni corruttivi e fraudolenti è stimata a circa 6,5 miliardi l’anno. Se alla stima dell’impatto della corruzione sommiamo quella per le inefficienze e gli sprechi - valutata nell’ordine del 18% della spesa totale - si arriva alla cifra monstre di 23,6 miliardi di euro l’anno. Sempre sotto il profilo dei costi, il rapporto si sofferma sui problemi della medicina di emergenza, che presenta un numero di accessi (24 milioni l’anno) almeno per un quarto sostanzialmente immotivati. C’è poi il costo della medicina cosiddetta “difensiva” - l’eccesso di cautela dei medici che causerebbe un aumento immotivato delle prescrizioni di farmaci, visite, esami e ricoveri - i cui sprechi si stima che persino per 13 miliardi l’anno, pari all’11,8% dell’intera spesa sanitaria totale (pubblica e privata). 

Altro problema, e contraddizione che sembrerebbe stridere con la valutazione “tutto sommato” positiva del sistema sanitario nazionale, è quello della lunghezza delle liste di attesa per le visite specialistiche e per i ricoveri ospedalieri, fenomeno che ha prodotto delle riflessioni critiche sul ruolo e il reale funzionamento dell’intramoenia, che finisce col generare una forte disparità su base censuaria nell’erogazione delle cure e col dilatare i tempi delle visite specialistiche per chi non vi ricorre. Per altro nelle casse pubbliche finisce soltanto il 10% circa del volume di incassi generato dall’intramoenia, e la quota è in costante discesa. Infine, il rapporto si sofferma sui dati risultanti dalla relazione conclusiva del 2013 della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario. Nel periodo compreso tra l’aprile 2009 e il dicembre 2012, la Commissione aveva preso in esame 570 denunce per presunti casi di malasanità, 400 dei quali implicanti la morte del paziente. Qui i dati hanno evidenziato una forte difformità territoriale, perché il 54,91% dei casi di malasanità e il 60% dei decessi hanno riguardato le 8 regioni del Mezzogiorno.


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