In Italia, uno dei punti sensibili che l’emergenza sanitaria ha portato allo scoperto, o meglio ha sottolineato senza possibilità di nascondersi, è il legame tra burocrazia ed efficienza della Pubblica Amministrazione, per questo si è giunti a parlare di semplificazione e riforma della PA. Stando al Presidente dell’Aran, sarebbe però giusto chiedersi: abbiamo davvero bisogno di una riforma per migliorare la PA?
Bisogna tenere bene a mente, quando si parla di pubblica amministrazione, che questa non è una singola istituzione, ma una vera e propria pluralità di PA, composte da numerosi aspetti: Ministeri, Sanità, Regioni, Comuni, Scuole, Università, Enti pubblici non economici, Enti di ricerca, etc. Risulta quindi ovvio che non si può sperare in un unico intervento capace di “rimettere ordine” o rinnovare tutti i problemi presenti nella macchina amministrativa pubblica.
Quattro riforme del Pubblico Impiego negli ultimi trent’anni (Bassanini, Frattini, Brunetta, Madia) non sono bastante ad arrivare all’applicazione completa a regime delle norme. Questo perché gli interventi si sono concentrati sullo snellimento della macchina amministrativa, senza però intervenire sulle PA, portando di fatto alla creazione delle partecipate: strutture parallele più flessibili e non soggette alle norme delle pubbliche. Negli anni, si è così venuto a creare un numero di partecipate sempre più grande; società che sfruttano gli strumenti privatistici per assumere personale e agire, ma con controlli e gestione delle risorse finanziarie molto più liberi rispetto alle PA. Molte sono state le osservazioni della Corte dei Conti riguardo un vero e proprio “sovraffollamento” di tali società, che hanno portato a denunce riguardo duplicazioni e sovrapposizioni, portando ad improduttività e oneri gravosi per la finanza pubblica.
Una premessa doverosa per capire che il cambiamento delle pubbliche amministrazioni deve puntare ad interventi in grado di renderle più flessibili, in grado di stare al passo con le innovazioni tecnologiche, competitive e capaci di seguire le esigenze dei cittadini. La rapida evoluzione del contesto in cui vivono le pubbliche amministrazioni porta alla necessità di leggi che le rendano in grado di adattarsi con una certa agilità, a tali scenari. Si necessita quindi di flessibilità organizzativa, i cui cardini sono organizzazione, lavoro (gestione delle risorse umane) e tecnologia, che permetterebbero alle PA di adattarsi in tempi adeguati a necessità di cittadini ed imprese.
Il problema per cui le riforme della PA non paiono mai efficaci, è che tale azione di intervento dovrebbe essere rapida, mentre il ciclo di un’azione riformatrice (legge, decreto, regolamenti, circolari) risulta nel nostro stato lento e spesso interrotto da cambi di Governo o semplicemente di Ministro. La soluzione parrebbe quindi essere di un movimento dal basso, dove l’ottimizzazione di risorse umane, l’organizzazione e lo sviluppo di obiettivi concreti da raggiungere, spingano per il miglioramento tanto agognato. Il tutto gestito da una dirigenza in grado di prendere decisioni, valutare le persone e abile nel risolvere controversie, perché di certo sorgeranno resistenze politiche e sindacali, incentrate sul mantenimento di ruoli consolidati e poteri acquisiti.
La speranza per il miglioramento della pubblica amministrazione dovrebbe quindi presupporre un cambiamento culturale che coinvolga la dirigenza pubblica e almeno in parte la classe politica, perché senza il supporto di quest’ultima non si potrà mai avere un processo riformatore efficace, ma ci si troverà sempre a costruire qualcosa che verrà smontato dalla controparte seguente. In pratica, questa tanto decantata rivoluzione delle Pubbliche Amministrazioni, necessita anche di una coesione di intenti delle varie forze politiche.
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